Milano, 8 settembre 2024 – Giorgio Armani ci ha lasciati giovedì scorso. Non solo un vuoto nel mondo della moda italiana, ma anche una domanda che in tanti si fanno: cosa diventerà il suo gruppo senza di lui? Oggi, mentre a Milano, Piacenza e Pantelleria si tengono lutti cittadini e la cerimonia funebre resta strettamente privata – appena venti persone, senza clamore – la città sembra trattenere il respiro. Eppure, proprio in questo momento, il modo in cui stampa e opinione pubblica hanno raccontato l’addio allo stilista rischia di tradire la sua più profonda eredità: quella della riservatezza.
Il paradosso dei tributi pubblici
Da venerdì mattina, i media hanno raccontato la morte di Armani con toni che lui probabilmente avrebbe odiato. Pagine e pagine dedicate ai dettagli sulla sua salute, alla sua vita privata, alle ultime settimane tra Milano e Pantelleria. “Non avrebbe voluto che si parlasse di queste cose”, ha confidato un collaboratore storico, rimasto nell’ombra anche durante la camera ardente. Eppure sono proprio questi temi – la malattia, la famiglia, le abitudini più intime – a dominare il racconto pubblico.
In questi giorni, la discrezione che aveva segnato ogni momento della sua vita è stata messa da parte. I necrologi hanno ceduto alla tentazione del dettaglio, del retroscena, a volte senza conferme. “Era un uomo misurato, geloso del suo privato”, ha ricordato ieri una delle sue muse, incontrata davanti alla sede di via Borgonuovo. Solo così ci si rende conto di quanto sia difficile davvero rispettare la volontà di chi ha fatto della sobrietà una cifra stilistica.
Una vita tra misura e controllo
Giorgio Armani ha costruito il suo impero – nato nel luglio 1975 – su un equilibrio raro tra creatività e controllo. Fino all’ultimo, ha mantenuto quattro ruoli chiave: fondatore, presidente, amministratore delegato e direttore creativo. Un modello quasi unico, in un settore dove ormai le grandi maison separano nettamente i ruoli manageriali da quelli creativi. Il gruppo Armani, controllato per il 99% dal fondatore, ha chiuso il 2024 con ricavi per 2,3 miliardi di euro.
Negli ultimi anni, lo stilista aveva lasciato intendere di volere un equilibrio diverso tra lavoro e vita privata. “Se potessi tornare indietro, cambierei qualcosa”, aveva confessato in una delle rare interviste a un settimanale francese. Ma non ha mai rinnegato la sua idea di misura: “Ho sempre pensato che la sobrietà fosse una forma di rispetto”, ripeteva spesso ai più giovani.
Il rischio degli eccessi mediatici
Colpisce, oggi, il divario tra la figura pubblica di Armani e il modo in cui viene celebrata la sua memoria. La moda italiana – e non solo – vive da anni una stagione di eccessi: sfilate-spettacolo, social network, esposizione continua. Armani ha scelto una strada diversa. “Non amava le urla né i riflettori puntati a lungo”, ha spiegato ieri un ex direttore creativo di una maison concorrente.
Eppure, ora che il suo nome riempie le prime pagine, il rischio è trasformare il tributo in qualcosa di opposto ai suoi valori. La copertura degli ultimi giorni – dalle cronache sulle sue condizioni fisiche agli aneddoti familiari – ha spesso superato il limite che lui stesso aveva fissato. “Non amava gli eccessi mediatici”, ha ricordato un giornalista milanese esperto di moda. Eppure, in queste ore, la riservatezza sembra dimenticata.
Un’eredità difficile da portare avanti
La domanda che tutti si fanno è: chi guiderà davvero il gruppo? I ruoli ora saranno divisi tra manager e creativi. Ma la sfida più grande sarà raccogliere l’eredità della misura. “Nessuno sarà come lui”, ha ammesso ieri un dirigente del gruppo, durante una pausa davanti alla sede storica.
Forse il modo più vero per ricordare Giorgio Armani è proprio questo: poche parole, niente eccessi, attenzione ai dettagli importanti. Solo così – lontano dai riflettori troppo accesi – si può davvero onorare chi ha fatto della riservatezza una vera bandiera.
