Il vino, simbolo della cultura italiana, sta vivendo un momento di crisi nelle tavole quotidiane degli italiani. Secondo i dati Istat analizzati da WineNews, solo un italiano adulto su due consuma vino, per un totale di 29,3 milioni di persone, e di queste, solo un terzo beve almeno un bicchiere al giorno. Le ragioni di questo calo sono molteplici: dalle crescenti preoccupazioni economiche, al crescente salutismo, fino ai cambiamenti negli stili di vita. Tuttavia, c’è un aspetto che merita particolare attenzione: la quasi totale scomparsa della categoria del “vino da tavola”.
La scomparsa del vino da tavola
In passato, il vino da tavola rappresentava una parte importante del mercato vinicolo, ma oggi sembra essere stato dimenticato. Secondo il bollettino “Cantina Italia”:
- Il 56,3% del vino detenuto è a Denominazione di Origine Protetta (DOP).
- Il 25,2% è a Indicazione Geografica Protetta (IGP).
- I vini varietali costituiscono solo l’1,5% del totale.
Gli altri vini, definiti “generici” o “da tavola”, sono praticamente assenti dal dibattito e dalle statistiche del settore.
In Italia, l’espressione “vino da tavola” è diventata quasi dispregiativa, associata a un prodotto di scarsa qualità. Questo è in netto contrasto con il mondo anglo-americano, dove il termine “table wine” abbraccia qualsiasi vino che non sia spumante o fortificato. Nonostante la percezione negativa, il vino da tavola ha il potenziale di essere un prodotto di qualità accessibile a tutti, capace di rappresentare la base della piramide qualitativa del vino italiano, se solo venisse adeguatamente valorizzato e normato.
Le sfide normative
Oggi, la normativa di etichettatura penalizza ulteriormente il vino da tavola. Mentre i vini generici possono essere prodotti anche con varietà autoctone, annata e vitigno, questi dettagli non possono essere menzionati in etichetta se non si utilizzano varietà internazionali come Merlot o Cabernet Sauvignon. Questo porta a enormi limitazioni per i produttori che desiderano realizzare vini di qualità utilizzando varietà locali storiche.
Inoltre, i disciplinari di produzione che regolano i vini DOP e IGP stabiliscono limiti di produzione ben definiti. Al contrario, per i vini senza indicazione geografica, il limite di produzione è notevolmente più elevato, arrivando a 300 quintali per ettaro, con possibilità di deroghe regionali che possono portare a 400 quintali. Questa situazione paradossale consente ai produttori di vino generico di produrre in quantità enormi, ma senza la possibilità di comunicare l’unicità e la qualità del loro prodotto.
Rivedere il vino da tavola
La questione dell’etichettatura è cruciale. Le normative attuali richiedono che i vini generici siano etichettati in modo molto generico, ad esempio come “Vino Rosso” o “Vino Bianco”. Questa mancanza di specificità non solo confonde i consumatori, ma impedisce anche ai produttori di raccontare la storia del loro vino, elemento essenziale per costruire un legame con il cliente.
Le piccole e grandi cantine italiane, artigiane e industriali, esprimono la necessità di rivedere la categoria del vino da tavola. La produzione di vini generici, per quanto poco valorizzata, potrebbe rappresentare un’opportunità per i produttori di esprimere la propria creatività, purché la normativa consenta una comunicazione efficace e chiara. Un vino da tavola di qualità, realizzato con attenzione e passione, potrebbe tornare a essere un elemento fondamentale della cultura gastronomica italiana, accompagnando i pasti familiari e le occasioni conviviali.
Rivalutare il vino da tavola non significa soltanto riconoscere un segmento di mercato, ma anche preservare un patrimonio culturale che rischia di scomparire. In un contesto dove i consumatori stanno diventando sempre più esigenti e consapevoli, è fondamentale ripensare il ruolo del vino da tavola, non più visto come un prodotto di bassa qualità, ma come un’opportunità per valorizzare la ricchezza del patrimonio vitivinicolo italiano. Una nuova visione, che metta al centro la qualità e la narrazione del prodotto, potrebbe contribuire a riavvicinare gli italiani al vino, rendendolo nuovamente un protagonista delle loro tavole.