Scandalo metanolo, 40 anni dopo: la tragedia che rivoluzionò il vino italiano

Giornale che parla dello scandalo del vino al metanolo

Immagine | Twitter @Corriere - Vinamundi.it

Redazione

2 Dicembre 2025

Torino, 2 dicembre 2025 – Sono trascorsi quarant’anni da uno degli episodi più drammatici e determinanti per la storia del vino italiano: lo scandalo del vino al metanolo. Tra la fine del 1985 e la primavera del 1986, l’uso illecito di alcol metilico ha contaminato diverse partite di vino da tavola, causando la morte di 23 persone e gravi intossicazioni a oltre 150 individui, con 15 casi di cecità permanente. Questa vicenda ha segnato un punto di svolta nel settore vitivinicolo nazionale, portando a una riforma profonda delle normative e dei controlli sul vino.

Lo scenario italiano a metà anni Ottanta e il contesto normativo

Nel dicembre 1985, l’Italia si trovava in una fase di transizione sociale, economica e culturale. Il vino italiano, pur dotato di una tradizione secolare, era ancora largamente prodotto per l’autoconsumo o come vino da tavola di qualità discutibile. La legge n. 116 del 12 luglio 1963 rappresentava il primo tentativo organico dello Stato di disciplinare la produzione vinicola, introducendo le Denominazioni di Origine Controllata (DOC) e definendo standard qualitativi e territoriali. Tuttavia, come ricordato da Piero Antinori nel suo libro “Il Profumo del Chianti”, le sofisticazioni e le manipolazioni chimiche erano ancora diffuse e il settore era caratterizzato da una certa approssimazione tecnica.

Il professor Attilio Scienza ha chiarito che la crisi del vino italiano iniziò già a metà degli anni Sessanta, con la fine della mezzadria e il progressivo abbandono dei vigneti tradizionali da parte dei contadini, che si trasformarono in operai industriali. Questo processo causò il degrado genetico delle uve e la diffusione di vini da tavola a bassa qualità, spesso corretti artificialmente per migliorarne alcolicità e stabilità. In questo contesto, la cultura qualitativa era ancora ai primordi.

La normativa che favorì la tragedia e la natura del metanolo

Un elemento chiave che favorì l’uso illecito del metanolo fu la legge n. 408 del 28 luglio 1984, che detassò l’alcol metilico sottraendolo all’imposta di fabbricazione, riducendone drasticamente il prezzo e abbassando la vigilanza fiscale. Prima di questa legge, il metanolo risultava poco conveniente e soggetto a controlli stringenti. Dopo la detassazione, il suo costo crollò da 5.000 a 500 lire al litro, rendendolo più economico dello zucchero per aumentare artificialmente la gradazione alcolica del vino da tavola. La norma, pur non autorizzando l’uso alimentare di metanolo – che era vietato –, creò un’area grigia che alcuni produttori senza scrupoli sfruttarono.

Dal punto di vista chimico, il metanolo (CH3OH) è molto simile all’etanolo (C₂H₅OH) nella forma liquida e nell’odore, ma è estremamente tossico per l’organismo umano: il suo metabolismo produce formaldeide e acido formico, sostanze che possono causare acidosi metabolica, danni neurologici e cecità. Bastano pochi millilitri di metanolo puro per provocare danni irreversibili o la morte.

L’indagine, le responsabilità e l’impatto sul settore vinicolo

Gli investigatori individuarono al centro dello scandalo la ditta Ciravegna Giovanni di Narzole (Cuneo), che utilizzava metanolo per “correggere” vini di bassissima qualità. La sofisticazione coinvolse inoltre altre aziende, tra cui la ditta Odore Vincenzo di Incisa Scapaccino, specializzata nell’imbottigliamento e distribuzione, che contribuì alla diffusione capillare del vino adulterato. Il fenomeno si estese anche al commercio all’ingrosso e alle esportazioni, come dimostrato dal sequestro di una nave cisterna nel porto francese di Sète, contenente vino sospetto proveniente dal tarantino.

Le condanne penali per i protagonisti principali, Giovanni Ciravegna (14 anni) e il figlio Daniele (4 anni), testimoniarono la gravità delle responsabilità, anche se i risarcimenti alle vittime furono quasi inesistenti a causa della dichiarata nullatenenza dei condannati.

Lo scandalo provocò un crollo della produzione e dell’export vitivinicolo: nel 1986 la produzione di vino si ridusse del 37%, mentre le esportazioni subirono un brusco arresto, con alcune destinazioni – come la Germania Ovest – che introdussero controlli doganali più severi per i vini italiani.

La svolta normativa e culturale dopo lo scandalo del metanolo

La drammatica vicenda accelerò l’implementazione di controlli e tutele nel settore. Nel 1986 venne varata la legge n. 462 del 7 agosto 1986, che rafforzò la repressione delle sofisticazioni alimentari, potenziando l’ICQRF (Ispettorato centrale repressione frodi) e i nuclei anti-sofisticazioni dei Carabinieri. Questa normativa rappresentò un primo passo decisivo verso la sicurezza alimentare, anche se venne adottata dopo che la crisi si era manifestata in tutta la sua gravità.

Successivamente, la legge n. 164 del 10 febbraio 1992 ridefinì in modo organico le categorie dei vini di qualità, introducendo nuovi requisiti per la produzione, la resa e la certificazione, con la creazione di consorzi di tutela più efficaci. Questo impulso normativo contribuì a trasformare il vino italiano, orientandolo da un modello quantitativo e spesso approssimativo a uno basato sulla qualità, che oggi caratterizza il successo globale del settore.

Burton Anderson, noto critico enogastronomico, ha definito lo scandalo del metanolo come “la cosa migliore mai successa al vino italiano”. Pur riconoscendo le tragedie umane e i danni reputazionali, egli sottolinea come quel momento segnò un risveglio necessario, che portò a una profonda riforma culturale e produttiva, contribuendo a far crescere la credibilità internazionale del vino italiano.

Questa vicenda drammatica rimane un monito sulla complessità del percorso di modernizzazione del settore vitivinicolo italiano, un cammino segnato da contraddizioni, rischi e trasformazioni radicali, che hanno permesso di raggiungere oggi un livello di eccellenza riconosciuto nel mondo.

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