Nonostante sia spesso visto come un prodotto di serie B, il vino sfuso continua a muovere numeri che molti produttori imbottigliatori possono solo invidiare. L’ultimo anno lo conferma: una fetta enorme del commercio globale di vino si muove ancora fuori dalla bottiglia, spesso dietro le quinte, ma con un peso determinante per l’intero settore.
Un mercato sorprendentemente solido
La quota del vino sfuso negli scambi internazionali resta impressionante: circa un terzo del totale, con la Spagna in testa sia come produttore sia come esportatore. Subito dietro si posizionano Italia, Nuova Zelanda, Australia, Cile e Francia, a testimonianza di quanto il segmento sia ormai un tassello strategico per Paesi vinicoli di ogni continente.
La domanda arriva soprattutto dall’Europa, dove il Regno Unito domina per valore e la Germania è il principale acquirente per volumi. Ma anche Italia, Francia e Stati Uniti importano quantità rilevanti di prodotto sfuso da reimpiegare all’interno delle proprie filiere.
Amsterdam al centro del mondo del vino sfuso
A raccogliere tutte queste dinamiche è la World Bulk Wine Exhibition, in corso ad Amsterdam, che nel 2025 porta sul palcoscenico internazionale innovazioni, tendenze e nuove opportunità del settore. Qui si discutono le strategie che stanno ridefinendo produzione, logistica e sostenibilità in un comparto spesso considerato marginale, ma capace di influenzare profondamente l’economia vinicola globale.
Tendenze e numeri: perché lo sfuso tiene più della bottiglia
Tra giugno 2023 e giugno 2024 sono stati scambiati 32,99 milioni di ettolitri di vino sfuso, per un valore complessivo di 2,59 miliardi di euro. Il prezzo medio? 0,79 euro al litro. E mentre il settore registra un lieve arretramento annuale (-2,3%), lo sfuso dimostra una resistenza superiore al vino imbottigliato, che segna un calo quasi doppio (-4,8%).
Nella prima metà dell’anno, poi, il segmento è quello che ha perso meno terreno (-0,3%), superando sia gli spumanti (-0,4%) sia i vini fermi (-3,1%).
Il caso europeo: rosati e rossi in crescita, bianchi in discesa
Curiosamente, l’andamento europeo procede in controtendenza rispetto al resto del comparto. Nello sfuso, rossi e rosati segnano un +3,4% nelle esportazioni, mentre i bianchi calano dell’1,4%. Una dinamica opposta a quella del mercato generale, che mostra consumi più forti proprio per i bianchi fermi.
Le parole degli esperti: “Una leva strategica in tempi instabili”
Secondo Rodolphe Lameyse, ceo di Vinexposium, la forza del vino sfuso non è casuale. In un contesto di incertezze economiche e geopolitiche, questo formato si sta trasformando in una risorsa capace di rimodellare supply chain, formati, sistemi di trasporto e perfino l’impronta ambientale.
Una versatilità che lo rende appetibile anche per categorie emergenti, come i prodotti a bassa o zero gradazione alcolica.
Non solo vino sfuso: l’inaspettato protagonista finale
La sorpresa arriva proprio nell’ultimo sguardo al programma di Amsterdam: non ci sono solo produttori di vino sfuso. L’evento accoglie anche un’ampia rappresentanza del mondo dei distillati, da tequila e rum fino ai whisky britannici e americani.
Marchi come Distilleria de La Tour, Angus Dundee Distillers, Casa Maestri o Gekkeikan si ritrovano allo stesso tavolo dei grandi del vino, attratti dalle stesse esigenze: maggiore flessibilità, trasporti più efficienti e un’impronta ecologica più leggera.
Un segnale chiaro che il futuro della bevanda alcolica globale — vino o distillato che sia — potrebbe passare sempre più spesso da un contenitore che non porta etichette… almeno fino all’ultimo miglio.
