Bolgheri, 7 giugno 2024 – Il Rifugio Faunistico Padule di Bolgheri, il cuore verde della Tenuta San Guido e patria del celebre Sassicaia, riapre le porte al pubblico dopo anni di lavoro sul campo per la salvaguardia dell’ambiente. Questa oasi, che si trova tra le colline dell’Alta Maremma e il mare, ospita oltre 250 specie di uccelli e tanti animali protetti. Da novembre ad aprile sono previste visite guidate che raccontano la ricchezza della biodiversità e l’importanza di proteggere questi ecosistemi.
Un angolo di natura nascosto tra i vigneti
Tra i filari che hanno reso Bolgheri famoso nel mondo del vino, si stendono 80 ettari di palude stagionale d’acqua dolce, alimentata solo dalle piogge autunnali e invernali. A questi si aggiungono più di 440 ettari di boschi, praterie, pinete, dune e pascoli. Qui, secondo i dati della Tenuta, vivono specie rare come la spatola, l’airone rosso, la moretta tabaccata, il tarabuso e il falco di palude. Non mancano nemmeno la testuggine palustre europea, la martora, l’istrice e perfino il lupo.
Il Rifugio, nato nel 1959 grazie a Mario Incisa della Rocchetta, è stato la prima area protetta privata in Italia. “Prima venne Bolgheri, poi il WWF Italia”, ricordava Fulco Pratesi, co-fondatore del WWF. È proprio qui che è germogliata l’idea che avrebbe portato alla nascita dell’associazione ambientalista, con Incisa tra i promotori e poi presidente onorario.
Tenuta San Guido: tra cavalli, vino e natura
Prima che il Sassicaia diventasse un simbolo mondiale – la sua prima uscita sul mercato risale al 1968 – Mario Incisa della Rocchetta era appassionato di cavalli. Con la moglie Clarice Della Gherardesca e l’allevatore Federico Tesio, creò una delle scuderie più importanti d’Italia. Qui nacque anche Ribot, uno dei cavalli più forti del Novecento.
Solo dopo, notando le somiglianze tra Bolgheri e le Graves di Bordeaux, Incisa decise di piantare Cabernet Sauvignon. “Volevo fare un vino di razza”, raccontava spesso agli amici. Da qui nacque il Sassicaia, frutto di esperimenti con l’enologo Giacomo Tachis.
Un laboratorio di biodiversità di fama internazionale
Oggi il Padule di Bolgheri copre circa 2.500 ettari lungo la costa tra Donoratico e Cecina. Confina con il famoso Viale dei Cipressi, reso immortale dai versi di Giosuè Carducci. I cipressi furono piantati nell’Ottocento dal Conte Guido Alberto della Gherardesca: “I bufali mangiavano tutte le altre piante”, raccontano ancora oggi gli abitanti.
Il Rifugio è riconosciuto come Zona Speciale di Conservazione (ZSC) e Zona di Protezione Speciale (ZPS) dalla direttiva europea Natura 2000, oltre a essere una Zona Umida di Importanza Internazionale secondo la Convenzione di Ramsar dal 1977. “La biodiversità è la linfa vitale del nostro territorio”, spiega Priscilla Incisa della Rocchetta, responsabile delle relazioni esterne della Tenuta. “È lo stesso principio che guida il nostro lavoro in vigna: osservare, rispettare e mantenere l’equilibrio”.
Ricerca sul campo e cura quotidiana
La gestione della riserva passa attraverso pratiche agricole attente: si coltivano graminacee e piante mellifere, si mantengono siepi e prati umidi. In collaborazione con il Centro Ornitologico Toscano (COT) e sotto la guida di naturalisti esperti, si svolgono censimenti annuali degli uccelli, studi su anfibi e rettili, e analisi della qualità di acqua e suolo.
Non mancano interventi concreti: si ripristinano le aree allagate, si costruiscono piccoli ponti sui canali e si mettono a disposizione nidi artificiali per uccelli come la ghiandaia marina. Sull’arenile si raccolgono i rifiuti plastici, mentre legname e posidonia vengono lasciati per combattere l’erosione della costa.
“Più un’area è ricca di specie e di rapporti tra loro, più è forte e resistente”, sottolinea Matteo Tamburini, responsabile del piano di gestione degli ecosistemi della Tenuta. “Con le nuove iniziative vogliamo soprattutto dare ai giovani la possibilità di vedere da vicino la biodiversità”.
Un’eredità che guarda avanti
La storia del Padule di Bolgheri si intreccia con quella della famiglia Incisa della Rocchetta e del territorio. Qui è nato uno dei vini più famosi al mondo, una delle associazioni ambientaliste più longeve e un modello di convivenza tra uomo e natura che ancora oggi è un esempio. Ed è proprio da questa storia – fatta di pazienza, rispetto per l’ambiente e passione per la terra – che passerà il futuro della Maremma.
