Storie

Pigiatura con i piedi, la storia di una tradizione antica e insuperata

Lo schiacciamento o pigiatura dell’uva per mezzo di piedi – nudi o vestiti di calzari adatti – è il metodo più antico e tradizionale per estrarre dagli acini il mosto da trasformare in vino, anche se ormai si preferisce quasi dappertutto la pigiatura con macchine apposite per motivi economici e soprattutto igienici.

La pigiatura dell’uva con i piedi: metodo antico ma insuperato

Tecnicamente, la pigiatura con i piedi rimane insuperata per la leggerezza e la sofficità dello schiacciamento, con cui si evitavano gli eccessivi spappolamenti delle bucce e la rottura degli acini acerbi, ottenendo un mosto con poca feccia e dando un vino di particolare morbidezza.

Foto | Menti Wine https://menti.wine/ – Vinamundi.it

Lo schiacciamento con i piedi è dunque un metodo di pigiatura ancora accettabile – e per certi aspetti preferibile – nelle cantine familiari in cui si lavorano piccole partite di uva.

Occorre però ricordare qualche precauzione necessaria per una corretta esecuzione del lavoro e un risultato soddisfacente: il mosto appena uscito dagli acini deve essere subito allontanato dalla massa d’uva soggetta alla pigiatura, che tenderebbe altrimenti a scivolare sotto i piedi.

Perciò l’ammostamento va fatto in un recipiente che, attraverso un falso fondo, permetta tale separazione immediata. Per lo stesso scopo in Sicilia furono costruiti i palmenti, vasche di pietra o di cemento con il fondo inclinato.

Inoltre è opportuno che il mosto sia subito immesso nei tini o nelle vasche di fermentazione in modo che questa abbia presto inizio, poiché la permanenza all’aria ne causerebbe l’ossidazione con effetti dannosi alla qualità del vino. Per l’eventuale diraspatura dell’uva prima della pigiatura si possono soffregare i grappoli contro le maglie di una rete metallica (o di plastica) che lasci passare gli acini trattenendo i raspi.

La pigiatura con le macchine

problemi igienici e altri inconvenienti della pigiatura con i piedi, come la lentezza del lavoro o la scarsa omogeneità completezza dello schiacciamento.

Questi ultimi sono stati risolti – o superati – per mezzo delle macchine pigiatrici, con notevoli risparmi di tempo e di fatica.

Foto | Menti Wine https://menti.wine/ – Vinamundi.it

Per le aziende enologiche minori, di tipo familiare e artigianale, esistono pigiatrici di piccole dimensioni che hanno una capacità lavorativa oraria di alcuni quintali e schiacciano l’uva facendola passare tra due cilindri scanalati, rotanti in senso opposto l’uno contro l’altro.

Queste macchine si possono collocare e usare direttamente sopra i tini o le vasche di fermentazione, oppure sopra le gabbie dei torchi nel caso di uve bianche, in modo da separare subito la parte migliore del mosto (mosto fiore) dalle parti solide dell’uva pigiata (raspi, bucce e vinaccioli).

Per ottenere mosti con minori quantità di parti solide in sospensione, ottenendo così vini più morbidi e con meno feccia, si può evitare che i raspi dei grappoli vengano pigiati insieme con gli acini adoperando una macchina diraspapigiatrice, che esegue appunto tale separazione prima della pigiatura.

Per l’ammostamento delle uve bianche, ma anche per la produzione di vini bianchi o rosati da uve rosse, esistono moderne macchine con elevata capacità lavorativa oraria.

Si tratta di torchi o presse che eseguono pigiature piuttosto soffici, senza frantumare le bucce degli acini e separando subito il mosto liquido dalle parti solide – anche in questo caso è opportuno che il mosto sia trasferito al più presto nei recipienti di fermentazione -.

Le pressi, in particolare, possono essere riempite con grandi quantità  di grappoli d’uva interi, direttamente dalle ceste o cassette di raccolta usate per la vendemmia.

In ogni caso, con la separazione dei raspi dal mosto prima della fermentazione, o addirittura dagli acini prima dell’ammostamento, si ottengono vini meno tannici – ovvero meno duri – ma più acidi. Inoltre il processo fermentativo si svolge più lentamente poiché si ha una minore quantità di aria nella massa che fermenta.

La fermentazione con decorso più lento è auspicabile nelle zone meridionali, pechè consente una maggiore dispersione del calore che ne deriva e che potrebbe danneggiare la buona riuscita del vino.

La presenza dei raspi nel mosto in fermentazione è invece utile quando si voglia ottenere un vino di lunga conservazione, in cui il tannino ceduto dai raspi è tra i più importanti componenti necessari per un buon processo di maturazione e invecchiamento.

Infine, per ottenere vini bianchi o rosati, scarichi di colore e di corpo occorre separare dal mosto appena estratto le parti solide rimaste in sospensione nel liquido.

Questo processo si chiama sgrondatura e può essere fatta per mezzo di macchine sgrondatrici, oppure chiarificando il mosto mediante centrifugazione ad alta velocità (4000-5000 giri/minuto); in entrambi i casi si otterrà un mosto meno torbido, da cui sarà più facile ricavare vino di particolare limpidezza.

Giulia De Sanctis

Laureata in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo, collaboro attivamente con riviste e testate web del settore culturale, enogastronomico, tempo libero e attualità.

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