Dal Piemonte alla Sicilia, settembre è il mese in cui l’uva si raccoglie e i paesi si riempiono di suoni, tavole imbandite e bicchieri alzati: il vino non è solo un prodotto, ma un gesto collettivo.
Settembre è un mese che in molti paesi italiani ha un odore preciso. Quello del mosto che fermenta, della terra smossa, dei tini aperti. Nei borghi, specialmente quelli legati da secoli alla viticoltura, coincide con la vendemmia. E da lì parte un calendario di feste che non hanno nulla di costruito, ma che seguono ancora il ritmo della campagna. Si mangia, si beve, si balla, ma soprattutto si celebra una comunità che ruota intorno alla vigna. A confermarlo è il programma diffuso da Borghi – Viaggio Italiano, progetto che punta a valorizzare i piccoli centri italiani con eventi legati alla stagionalità e alla cultura locale. Quest’anno, l’autunno del vino attraversa tutto il Paese.
Vino, vendemmia e identità: così i borghi tornano ad animarsi
La mappa degli eventi è ampia. Si parte dal Piemonte, con i giorni della Fiera del Tartufo che si incrociano con le ultime raccolte del Nebbiolo nelle Langhe. Poi ci sono le colline toscane, dove a metà settembre alcune aziende aprono le vigne ai visitatori per vendemmie condivise, seguite da pranzi rustici su tavole lunghe e rumorose. In Sicilia, nei paesi dell’entroterra agrigentino, si mescolano sacro e profano: si benedice il raccolto, si organizzano cene in piazza e si riaprono vecchie cantine di famiglia.

L’iniziativa promossa da ENIT e dal Ministero del Turismo prevede anche il coinvolgimento attivo delle amministrazioni locali, con percorsi a piedi, rievocazioni storiche e stand dedicati ai prodotti tipici. Ma il vino resta al centro. Non solo da bere. Viene raccontato, mostrato, condiviso. I produttori locali spiegano cosa cambia tra un’annata e l’altra, quali uve sono più resistenti al caldo estremo, come si regge un raccolto sotto la pressione della crisi climatica. Le persone ascoltano. Non è solo festa, è conoscenza.
I numeri premiano l’iniziativa. Secondo un rilevamento di Confcommercio, i borghi che ospitano eventi legati alla vendemmia vedono un aumento del 25% delle presenze turistiche nel mese di settembre. Molti arrivano dall’estero, attratti dall’immagine dell’Italia più autentica, quella che non ha bisogno di filtri o slogan. E chi torna lo fa spesso per rivivere un momento in cui il tempo sembra muoversi più piano.
La tavola come luogo d’incontro, il vino come filo conduttore
Il vino nei borghi non si beve da solo. È sempre accompagnato da un piatto, una sedia, una conversazione. Le sagre non sono solo occasioni di consumo, ma veri rituali collettivi. Nei cortili, nelle piazze, sotto le tende montate all’ultimo minuto, si apparecchiano tavolate dove si servono piatti cucinati come una volta. Fagioli, polenta, carne alla brace, dolci fatti in casa. E vino, ovviamente. Vino che non viene spiegato, ma versato. Che non ha etichette complesse, ma nomi di paese.
Questa dimensione popolare non è secondaria. Al contrario, è ciò che distingue il vino italiano da quello di altri Paesi. Qui non è un oggetto da esposizione, è parte della vita quotidiana. A San Gimignano, per esempio, durante la Festa dell’uva si alternano sfilate, giochi medievali e assaggi del Vernaccia. A Locorotondo, in Puglia, la vendemmia si accompagna a spettacoli di pizzica e bancarelle di formaggi locali. Ogni regione ha un modo diverso di dirlo, ma il messaggio è lo stesso: la vendemmia non è solo lavoro, è racconto.
E la narrazione, oggi, passa anche dal digitale. Molti borghi usano i social per documentare la preparazione, i retroscena, i momenti più autentici. Le foto scattate con il telefono diventano cartoline spontanee che circolano su Instagram o TikTok, e che mostrano quello che la promozione turistica ufficiale spesso dimentica. Facce stanche, mani sporche, bicchieri appannati. È questo che cercano i visitatori. Un’Italia meno perfetta, ma più vera.