Capalbio, 15 novembre 2025 – All’inizio degli anni Duemila, Georg Weber arrivò a Capalbio con un’idea chiara in testa: trovare una tenuta dove dare vita al suo sogno nel mondo del vino. Quel pezzo di terra, ancora selvaggio e sospeso tra mare e colline, conservava una tradizione agricola solida, quasi intatta. Da lì è nata Monteverro, racconta la moglie Julia Weber, una realtà che oggi si estende su 70 ettari e ha trasformato un angolo di Toscana in un punto di riferimento per il vino di qualità.
Un sogno che nasce dalla terra
“Quando Georg vide quei vigneti vicino al mare, capì subito che era il posto giusto per il suo progetto”, ricorda Julia, che dal 2011 è al suo fianco nella gestione della tenuta. All’epoca, ammette, “non c’era praticamente nulla: Monteverro è nato da zero, con tanti investimenti e lavoro duro”. L’azienda si è sempre basata su un’idea semplice ma forte: unire un approccio innovativo con il massimo rispetto per la natura, puntando su pratiche agricole sostenibili e su vini che raccontassero davvero la Maremma.
La prima vendemmia è del 2008, mentre le prime bottiglie sono arrivate sul mercato nel 2011. Da allora, Monteverro ha messo insieme un gruppo di professionisti, sia locali che stranieri, tutti legati da un valore fondamentale: il rispetto per la terra e per chi ci lavora. “Cerchiamo di fare un vino meno pesante e più raffinato, che sappia raccontare il territorio in tutte le sue sfumature”, spiega Julia.
Il mare, un protagonista silenzioso
Nel racconto di Monteverro il mare è sempre presente, quasi un compagno di viaggio. La brezza marina, fresca e un po’ umida, attraversa i vigneti ogni giorno, influenzando la maturazione delle uve e dando ai vini quella nota sapida che li rende unici. I terreni sono principalmente argillosi, con ciottoli che aumentano salendo verso le colline. “Il vento dal mare aiuta a far maturare le uve in modo sano e regolare”, racconta l’enologo Matthieu Taunay, che lavora in azienda dal 2008.
Le vigne vengono curate con metodi di agricoltura biologica, spesso ispirandosi anche alla biodinamica: prati naturali tra i filari, compost fatto in casa, infusi di erbe. La vendemmia è tutta manuale e divisa in piccoli lotti per cogliere ogni differenza di maturazione. Ogni pezzo di vigneto viene lavorato a parte, con fermentazioni spontanee e trattamenti delicati. In cantina si usa la gravità al posto delle pompe, e il vino matura in cemento o in barrique di rovere francese.
Un team internazionale con radici locali
A guidare la produzione c’è Matthieu Taunay, enologo francese della Loira, supportato negli anni da consulenti come Jean Hoefliger e Michel Rolland. Grazie all’esperienza internazionale del gruppo, Monteverro è riuscita a combinare il rispetto per la terra con una qualità rigorosa, senza mai perdere il legame con la Maremma. “Il nostro obiettivo è far parlare il vigneto”, dice Taunay.
L’arte che si fonde con il vino
Per Julia e Georg Weber, il vino è anche un’espressione artistica. Nel tempo la tenuta ha ospitato opere di artisti come Giulio Bensasson, Bruno Pellegrino, Davide Dormino ed Elena Saracino. Quest’anno è arrivata “Little big braid” di Matteo Nasini, una grande treccia colorata che si snoda tra gli ulivi. Tra le opere permanenti spiccano i verri maremmani, simbolo dell’azienda e omaggio alle radici del territorio.
Monteverro, il vino che parla di Maremma
Il vino più rappresentativo è il Monteverro, un blend bordolese elegante e complesso, con profumi di frutti neri, spezie e tabacco. Ogni annata racconta la crescita di un progetto coerente, capace di mostrare la forza di un terroir speciale. “Vogliamo che sia il vino a parlare da solo”, ribadisce Julia Weber. La gamma dei vini offre un ritratto fedele delle diverse anime del territorio, confermando Monteverro come una realtà capace di innovare senza perdere la propria identità.
Qui, tra Capalbio e il mare, Monteverro continua a crescere. Un percorso iniziato vent’anni fa da un sogno tedesco diventato realtà italiana, dove ogni bottiglia racconta una storia di terra, vento e passione.
