Montalcino, 13 giugno 2024 – Il Moscadello di Montalcino, quel vino dolce dalle radici profonde, è tornato sotto i riflettori. È successo grazie a un incontro tra i produttori del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino e Ian D’Agata, uno dei massimi esperti mondiali di vino. L’appuntamento si è tenuto ieri nella storica tenuta di Col d’Orcia, dove undici aziende che custodiscono questa piccola denominazione si sono riunite per parlare del futuro del Moscadello e del suo ruolo nel panorama vinicolo locale.
Moscadello, un passato da riscoprire
Prima che il nome di Montalcino diventasse sinonimo di Brunello, le sue colline erano famose per il Moscadello, ottenuto da uve di Moscato Bianco. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, però, il vino rischiò di sparire a causa della fillossera. “Quando i vigneti sono stati rifatti – ha ricordato uno dei produttori storici – il Sangiovese Grosso ha preso il sopravvento, ma alcune aziende non hanno voluto abbandonare questa tradizione”.
Oggi la produzione di Moscadello si aggira intorno alle 50.000 bottiglie all’anno. A portare avanti questo piccolo tesoro sono realtà come Banfi, Capanna, Caparzo, Caprili, Col d’Orcia, Il Poggione, La Poderina, Mastrojanni, Mocali, Tenute Silvio Nardi e Villa Poggio Salvi. “Siamo pochi, ma determinati – ha confessato un vignaiolo – a non far svanire questa storia”.
Ian D’Agata: “Un vino da rilanciare”
Critico e divulgatore di fama internazionale, Ian D’Agata vive tra Italia e Cina, dove racconta le eccellenze del vino italiano sulla piattaforma “Terroir Sense”. Durante la degustazione a Col d’Orcia, ha sottolineato: “Il Moscadello di Montalcino sorprende per la sua complessità e per come invecchia. In certi casi ricorda perfino un Sauternes”.
Secondo D’Agata, però, il rischio è che il Moscadello venga dimenticato. “Riunire i produttori e assaggiare insieme le varie versioni è un primo passo – ha spiegato – per riportare in luce un vino che ha preceduto il Brunello nella storia del territorio”. Il critico ha auspicato che il Consorzio sostenga studi e ricerche sui vecchi vigneti e sulle varietà locali di Moscato Bianco: “Solo così il Moscadello potrà recuperare la sua vera identità”.
Consorzio in prima linea tra tradizione e futuro
Per Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, questa iniziativa è un’occasione per valorizzare il territorio. “Riscoprire il Moscadello in chiave moderna è importante – ha detto –. Le undici aziende che ancora lo producono dimostrano quanto la nostra denominazione sia viva e dinamica”.
Bindocci ha aggiunto che eventi come questo aiutano a rafforzare l’immagine di Montalcino nel mondo. “Non si tratta solo di numeri – ha spiegato – ma di salvare un patrimonio culturale e produttivo che ci rende unici”.
Col d’Orcia, una tenuta simbolo
L’incontro si è svolto nella cornice di Col d’Orcia, storica azienda con 540 ettari biologici, di cui 149 a vigneto, nel comune di Montalcino. Dal 1992 guidata dal Conte Francesco Marone Cinzano, la tenuta ha avuto un ruolo chiave nell’ottenimento della DOCG per il Brunello e della DOC per il Rosso di Montalcino.
Col d’Orcia produce quindici etichette certificate biologiche, tra cui il Pascena Moscadello di Montalcino DOCG Vendemmia Tardiva. Nei suoi vigneti crescono anche Sangiovese Brunello (106 ettari), Cabernet, Merlot, Pinot Grigio, Chardonnay e Syrah. L’azienda cura inoltre 5.500 piante di ulivo, alcune di oltre cento anni.
Il Moscadello guarda al futuro
L’incontro tra produttori e critico ha acceso i riflettori su questa piccola ma importante denominazione. “Il Moscadello può tornare a essere un simbolo della viticoltura locale”, ha ribadito D’Agata. La strada è fatta di ricerca, promozione e un ritorno alle radici.
Per ora c’è la voglia e la determinazione dei produttori, oltre all’interesse crescente degli appassionati. “Non vogliamo che il Moscadello resti solo un ricordo”, ha concluso uno dei presenti. “Vogliamo vederlo di nuovo sulle tavole e nei calici di chi cerca qualcosa di autentico”.
