Recuperare il vino aperto è possibile e conveniente: in molte preparazioni dona sapore, corpo e colore, diventando un alleato silenzioso di zuppe, secondi e perfino dessert.
Non serve molto per accorgersi che, nelle cucine di casa, qualcosa viene buttato anche quando potrebbe ancora servire. Il vino, una volta aperto, tende a perdere vivacità, e dopo qualche giorno finisce spesso nel lavandino. Eppure, già nelle cucine contadine, nessuno si sarebbe mai sognato di sprecare anche solo un bicchiere. Le bottiglie lasciate a metà, rosse o bianche, erano considerate risorse, non scarti. E lo sono ancora: perché il vino, anche se non più fresco da bere, può diventare un ingrediente chiave in piatti quotidiani, economici e ben radicati nella tradizione. A patto di saperlo dosare e inserirlo nel momento giusto.
Il vino come base: salse, sughi e brasati che partono da un avanzo
È proprio nei piatti di lunga cottura che il vino mostra la sua forza. Il suo potere di sfumare, ammorbidire, esaltare. Una bottiglia dimenticata in frigo può dare carattere a un ragù, rendere più profondo un fondo di carne, trasformare un semplice stufato in qualcosa di più ricco. Il rosso va spesso usato nei piatti a base di carne: tagli di manzo, maiale o cinghiale vengono marinati in vino per ore, assorbendone l’aroma prima di essere cotti lentamente con cipolla, sedano, alloro. Il risultato è un piatto che racconta pazienza, fuoco lento, tempo.

Il bianco, invece, accompagna cotture più brevi: è perfetto per sfumare risotti, insaporire zuppe, legare sughi di pesce. Un bianco secco, anche un po’ spento, riesce comunque a regalare acidità e struttura a un primo piatto. Lo sanno bene gli chef, che spesso usano vino in cucina non per spreco, ma per scelta.
Nei dolci, poi, il vino entra quasi di nascosto. Un rosso corposo può essere ridotto con zucchero e spezie fino a diventare una salsa per pere o fichi, oppure una crema da servire con torte rustiche. In alcuni casi, si usa anche per preparare gelatine, marmellate da accompagnamento o pastelle per frittelle. Anche quando l’alcol è evaporato, resta il profumo. E quel profumo racconta la materia prima da cui tutto è partito.
Come conservarlo e usarlo senza errori: dosi, tempi e abbinamenti
Il primo errore da evitare è conservare il vino troppo a lungo. Dopo 4 o 5 giorni dall’apertura, se non refrigerato o protetto dall’aria, rischia di inacidire. Meglio trasferirlo in un contenitore piccolo, sigillato, e tenerlo in frigo. Anche se il sapore è cambiato leggermente, in cottura non si noterà. Anzi, in certi casi sarà proprio quell’ossidazione iniziale a dare un tocco in più.
Le dosi vanno misurate con attenzione. In genere, si usano dai 50 ai 150 ml per piatto, sfumati in padella o aggiunti in fase iniziale. Non bisogna mai esagerare: se il vino prende il sopravvento, si rischia di coprire il resto degli ingredienti. La regola è semplice: poco e spesso. Piccole aggiunte che arricchiscono senza stravolgere.
Anche l’abbinamento è fondamentale. Usare un rosso tannico con un piatto delicato può sbilanciare il risultato. Così come un bianco dolce può rendere stucchevole un risotto al limone. Serve equilibrio. E una certa dose di sperimentazione. Chi cucina con il vino impara col tempo a capire quando metterlo, quanto farlo evaporare, che tipo di bottiglia usare.
Infine, se il vino è davvero imbevibile, troppo alterato, si può sempre ridurre e usare come aceto fatto in casa o base per conserve sottolio. Il principio non cambia: zero sprechi. In una cucina che non butta via nulla, anche un bicchiere dimenticato può tornare utile.