Un primo piatto profondo, cremoso e sorprendente. Il risotto al Lambrusco torna nelle cucine italiane e conquista anche gli chef.
Una base di riso tostato, sfumato con un vino dal colore rubino, mantecato con burro freddo e Parmigiano. A leggerlo così sembra una ricetta classica. E invece il risotto al Lambrusco porta con sé qualcosa di diverso: una nota aspra, leggermente fruttata, che rompe la regola del risotto tradizionale e lo trasforma in un piatto territoriale, rustico ma elegante, tipico di una cucina che non ha paura di osare. Nella zona tra Modena e Reggio Emilia, dove il Lambrusco non è solo un vino da pasto ma un simbolo di convivialità popolare, questo piatto è da anni una preparazione casalinga. Ora sta tornando nei menu dei ristoranti, spinto da cuochi che vogliono riscoprire i sapori autentici della regione, senza mascherarli.
Negli ultimi mesi, complice anche il rilancio di alcuni vitigni autoctoni e un interesse rinnovato per la cucina regionale italiana, il risotto al Lambrusco è stato segnalato tra i piatti “emergenti” nei menu stagionali. È comparso in trattorie rivisitate, bistrot urbani e persino in alcune cucine stellate. La sua forza sta nel rapporto diretto con la materia prima. Non è un risotto da impreziosire con ingredienti esotici o tecniche complicate. È un piatto che chiede attenzione nei gesti e nella qualità di ogni singolo elemento.
Da piatto povero a ricetta ritrovata: il risotto che parla emiliano
Nel secondo dopoguerra, quando il riso cominciava ad arrivare con più facilità anche nelle campagne emiliane, molte famiglie iniziarono a usarlo in sostituzione della pasta. Il Lambrusco, già presente sulle tavole contadine, veniva aggiunto come liquido di cottura, assieme a brodo vegetale o di carne. L’effetto era forte, a volte spigoloso, ma piaceva proprio per quella sua asprezza vinosa, capace di reggere i formaggi stagionati e le carni invernali.

Col passare del tempo, la ricetta è andata scomparendo. Troppo scura, troppo rustica per le cucine borghesi che andavano affermandosi tra gli anni Sessanta e Novanta. Il Lambrusco, etichettato per anni come vino di poco pregio, ha trascinato con sé anche le preparazioni che lo utilizzavano. Poi è arrivata la rivalutazione dei vini frizzanti secchi, delle fermentazioni in bottiglia, e con essa una nuova generazione di cuochi, attenti al valore della cucina popolare.
Oggi il risotto al Lambrusco si prepara in modo più preciso. Si sceglie un riso che tenga bene la cottura – Carnaroli o Vialone Nano – si fa una tostatura lenta e si aggiunge il vino non tutto insieme, ma in due o tre momenti. Il brodo resta fondamentale, ma viene usato con parsimonia per non coprire la parte aromatica del vino. Il Parmigiano Reggiano, a fine cottura, chiude il piatto con una nota grassa e saporita che bilancia l’acidità.
Chi lo assaggia per la prima volta si stupisce. Non è un piatto facile, ma nemmeno pretenzioso. È profondo, con un sapore che resta in bocca e un colore violaceo che macchia il piatto in modo riconoscibile. Funziona da solo, ma anche come base per abbinamenti con salsiccia sgranata, castelmagno grattugiato, o una riduzione di cipolla rossa. Nei ristoranti di Bologna e Parma, alcuni chef lo servono anche con gocce di aceto balsamico tradizionale e lamelle di tartufo nero.
Il ritorno nei ristoranti e l’interesse fuori dall’Emilia
Il ritorno del risotto al Lambrusco non è solo una curiosità da chef. In diverse città italiane è diventato un piatto da raccontare, capace di collegare il pubblico urbano con una tradizione gastronomica minore. A Milano è comparso in alcuni ristoranti regionali, a Firenze in locali che lavorano solo con prodotti Dop, e a Roma in piccole trattorie di quartiere che propongono una cucina italiana senza confini rigidi.
Anche fuori dall’Italia il risotto sta attirando attenzione. Alcuni ristoranti italiani a Londra, Amsterdam e Vienna lo hanno inserito nei menu autunnali, puntando sull’effetto “colore” e sull’uso di vini locali reinterpretati in cucina. Il Lambrusco, esportato in versioni secche e biologiche, viene utilizzato anche per marinate, fondi e dessert. Ma è nel risotto che trova una delle sue espressioni più dirette e riconoscibili.
Il prezzo contenuto degli ingredienti lo rende accessibile anche ai ristoratori indipendenti. E proprio questa semplicità, assieme alla forza del sapore, ne ha favorito la diffusione in ambienti diversi: osterie moderne, bistrot di quartiere, agriturismi con cucina genuina. Non è una moda passeggera, spiegano alcuni cuochi emiliani, ma un ritorno consapevole a una cucina che non chiede scuse, che non si nasconde dietro parole inglesi e sa dire chi sei già dal primo assaggio.
Il Lambrusco, da parte sua, sta vivendo una seconda giovinezza. Il vino che per decenni è stato sottovalutato, oggi viene scelto con cura, degustato, raccontato. E il risotto che lo mette al centro diventa un modo per farlo conoscere anche a chi, finora, lo aveva solo versato nei calici.