Roma, 10 giugno 2024 – Il vino italiano è in un momento di riflessione e cambiamento, ma non è in crisi. Questo è il messaggio che ha lanciato Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, durante il Congresso Nazionale Fisar 2025, aperto con il convegno “Il vino come strumento di valorizzazione del made in Italy” alla Biblioteca della Camera dei Deputati. Un incontro che ha visto protagonisti alcuni dei nomi più importanti del settore, da Michele Zanardo a Roberto Donadini, passando per lo chef stellato Davide Pulejo e l’onorevole Giorgio Mulè.
Vino italiano: tra ostacoli e nuove strade
Cotarella ha ricordato che “il vino italiano ha sempre saputo rialzarsi, anche dopo crisi ben più pesanti”. Oggi però il settore deve fare i conti con problemi concreti: dai nuovi dazi statunitensi al rallentamento delle esportazioni. I dati Ismea mostrano come gli importatori americani abbiano anticipato gli acquisti nei primi mesi dell’anno, causando un effetto scorta che ha cambiato i flussi di vendita. Un dettaglio importante, secondo gli esperti, da non sottovalutare.
Intanto, il mercato europeo pesa per circa il 40% delle esportazioni totali. Un segnale di solidità, ma anche la prova che la filiera deve adeguarsi a nuovi scenari. “Non è una crisi strutturale – spiega la nota Fisar – ma un momento di aggiustamento che richiede equilibrio e una comunicazione più chiara e responsabile”.
Raccontare il valore del vino italiano
Cotarella ha sottolineato quanto sia fondamentale saper raccontare la ricchezza del nostro vino: “Siamo i più grandi produttori al mondo, con una biodiversità, territori e cultura unici. Ma dobbiamo continuare a farlo sapere, altrimenti rischiamo di essere sorpassati da Paesi senza la nostra storia”. Per l’enologo, il futuro passa dalla capacità di fare squadra e costruire un’identità condivisa.
Lo stesso concetto è stato ribadito da Roberto Donadini, presidente nazionale Fisar: “Bisogna superare le divisioni locali. Solo lavorando insieme, tra associazioni di sommelier, operatori, scuole e produttori, possiamo valorizzare davvero il patrimonio vitivinicolo”. Donadini ha poi rimarcato l’importanza della formazione: “Formiamo ogni giorno professionisti preparati e responsabili, capaci di diffondere una cultura del bere autentica e di qualità”.
Denominazioni e territori: la sfida della sostenibilità
Un altro tema caldo è stato quello delle denominazioni di origine. Michele Zanardo ha ricordato che in Italia ci sono circa 530 denominazioni e oltre 500 vitigni, ma la produzione è concentrata in poche mani: dieci denominazioni coprono metà delle esportazioni. “È un dato che deve farci riflettere – ha detto Zanardo – dobbiamo lavorare insieme per dare valore anche ai territori meno conosciuti e garantire sostenibilità economica e ambientale”.
Zanardo ha poi ricordato come l’Italia sia stata tra le prime a dotarsi di una legge sulle denominazioni, nel lontano 1963. Sessant’anni dopo quel modello resta un punto di riferimento in Europa, ma ha bisogno di essere aggiornato. “Il vino non è solo un prodotto – ha aggiunto – è parte della nostra cultura e della nostra civiltà”.
Il cuore del made in Italy è nelle persone
A chiudere il dibattito è stato lo chef Davide Pulejo, che ha puntato l’attenzione sul fattore umano. “Bisogna educare i giovani, farli appassionare al loro lavoro e dare loro la possibilità di portare questa passione nel mondo”, ha detto. Per Pulejo, cibo e vino sono leve fondamentali per far ripartire il Paese: “Siamo i veri ambasciatori del made in Italy, attraverso quello che mettiamo in tavola”.
In conclusione, il vino italiano si trova davanti a una sfida complessa, ma non impossibile. Serve unità tra produttori, istituzioni e operatori per continuare a raccontare, qui e all’estero, la storia unica del nostro vino. Un patrimonio che, come ha ricordato Cotarella, è “l’anima e la cultura del Paese”.
