Roma, 10 novembre 2025 – L’Osservatorio dell’Unione Italiana Vini (Uiv) torna a lanciare l’allarme sulle nuove tariffe doganali annunciate dagli Stati Uniti che potrebbero colpire duro l’agricoltura europea. A farne le spese, in prima fila, sarebbero i vini italiani, soprattutto quelli della fascia “popular”, esposti a rischi concreti di calo nelle vendite. Se dovessero arrivare i dazi al 25% sulle importazioni, come ipotizzato, il settore potrebbe perdere circa 470 milioni di euro solo sul mercato americano. E non si tratta di un problema circoscritto: gli effetti indiretti potrebbero far salire il conto vicino al miliardo su scala globale.
Export italiano in bilico: la fascia “popular” nel mirino
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Uiv, l’80% del vino italiano esportato negli Stati Uniti rientra nella fascia “popular”. Questa è la vera spina dorsale delle spedizioni tricolori oltre Oceano. Si tratta di 2,9 milioni di ettolitri su un totale di 3,6 milioni, quasi 350 milioni di bottiglie destinate agli scaffali americani, con un prezzo medio finale – comprensivo di trasporto, dazi e ricarichi – che non supera i 13 dollari a bottiglia. “Pensare che il vino italiano sia un prodotto solo ‘di lusso’ è un errore”, avverte Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv. “La nostra forza sta nei prodotti identitari, ma con un prezzo alla portata di molti”.
Dazi al 25%: Pinot Grigio, Prosecco e Chianti in difficoltà
I dazi al 25% rischiano di far lievitare i prezzi e spingere molti vini “popular” nella fascia “premium”. Un salto che il mercato potrebbe faticare a digerire. Secondo l’Uiv, il prezzo medio di esportazione verso gli Usa è di 5,35 euro al litro, ma più della metà dei vini popolari viaggia sotto questa soglia, intorno a 3,53 euro. Un aumento forzato, avverte l’Osservatorio, potrebbe mettere in crisi etichette amate come Pinot Grigio, Prosecco, Chianti, Lambrusco, Moscato d’Asti e tante produzioni regionali. “Il segmento premium oggi vale solo il 17% del volume totale esportato”, spiega Frescobaldi, “e non può assorbire un’ondata massiccia di vini dalla fascia più bassa”.
La risposta dell’Uiv: trattative, promozione e controllo della produzione
Di fronte a un quadro così incerto, la Uiv chiede di muoversi su più fronti. Il primo passo, dice Frescobaldi, è quello negoziale: “Bisogna lavorare perché il vino non finisca nella lista dei prodotti colpiti da barriere commerciali”. Poi c’è il ruolo dell’Unione Europea, chiamata a mettere in campo misure di sostegno e campagne promozionali fuori dai confini europei. Infine, tocca all’Italia gestire il tema del contenimento produttivo, per evitare squilibri eccessivi nel mercato interno.
Un mercato da 2 miliardi di euro sotto pressione
L’export vinicolo italiano negli Stati Uniti vale circa 2 miliardi di euro, pari al 24% delle esportazioni mondiali del settore. Un dato che mostra quanto gli Usa siano fondamentali per le cantine italiane. Ma l’Uiv mette in guardia: la struttura stessa dell’offerta potrebbe essere messa in crisi dai nuovi dazi. “Il successo del made in Italy enologico si basa sul rapporto qualità-prezzo”, ricorda Frescobaldi. “Se i prezzi salgono troppo, rischiamo che i consumatori scelgano vini di altri Paesi o prodotti locali”.
Produttori in ansia: attesa e timori tra Veneto e Toscana
Nelle ultime settimane, tra le vigne del Veneto e le campagne toscane, il clima è di attesa e preoccupazione. Molti produttori confessano di temere un calo degli ordini dagli Usa già nei prossimi mesi. “Siamo davvero preoccupati”, ammette un esportatore di Treviso, “perché i margini sono stretti e non possiamo permetterci di aumentare i prezzi”. La strategia, almeno per ora, è seguire da vicino le trattative tra Bruxelles e Washington, sperando in un accordo che eviti un’escalation.
Un equilibrio delicato tra domanda e offerta
Il rischio più grande, sottolineano gli analisti Uiv, è perdere terreno sul mercato americano e, di riflesso, a livello globale. Se i dazi entreranno in vigore senza correttivi, la domanda potrebbe spostarsi verso vini di altri Paesi o prodotti locali. Solo allora si vedrà quanto sia fragile l’equilibrio costruito in anni di lavoro e fatica sui mercati internazionali.
