Crisi del vino in America: cosa rischia davvero il mercato italiano

Crisi vino USA.

Vino e America: un binomio sempre più incerto. - www.vinamundi.it

Luca Antonelli

26 Agosto 2025

I dati SipSource confermano una tendenza negativa: negli USA calano le vendite di vino e superalcolici. L’Italia osserva con attenzione.

Il mercato del vino negli Stati Uniti non sta più reggendo i ritmi pre-pandemia. A certificarlo è il nuovo report pubblicato il 22 agosto 2025 da SipSource, l’osservatorio legato alla National Alcohol Beverage Control Association, che monitora i canali di distribuzione del vino e degli alcolici in America. I numeri registrati nel secondo trimestre dell’anno mostrano un ulteriore calo delle vendite, sia nei consumi domestici che nel canale horeca. Si parla di un -4,3% su base annua per il comparto vino e di un -2,7% per gli spirits.

Il dato arriva in un momento delicato. Le aziende italiane che esportano vino negli USA – soprattutto quelle concentrate su rossi strutturati e bollicine – cominciano a interrogarsi sull’impatto a medio termine. Per molti piccoli produttori, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato extraeuropeo, sia per fatturato che per visibilità. La tendenza negativa, già emersa nella seconda metà del 2024, sembra ora essersi trasformata in una fase strutturale di contrazione. I motivi sono diversi: abitudini di consumo mutate, inflazione persistente, nuove generazioni meno legate al rituale del bicchiere.

I numeri di SipSource e cosa segnalano davvero

Il report elaborato da SipSource si basa su un campione rappresentativo dei distributori affiliati a NABCA e comprende sia il retail fisico che l’e-commerce. Secondo l’analisi, il calo più marcato si registra tra i vini rossi tradizionali, in particolare quelli di fascia media. In controtendenza – ma con numeri molto più contenuti – restano i consumi legati a etichette naturali e a basso contenuto alcolico, che guadagnano spazio tra i consumatori under 35. Gli spumanti, incluso il Prosecco, segnano una leggera battuta d’arresto, pur mantenendo quote alte nei brunch urbani e nelle occasioni festive.

Crisi vino USA.
La crisi si riflette anche nel calice: l’export di vino italiano verso l’America rallenta. – www.vinamundi.it

Il documento evidenzia che il trend negativo non è omogeneo. Alcuni Stati, come New York e California, mostrano segnali più resilienti. In altri – tra cui Texas e Florida – si assiste a un calo più rapido, influenzato anche da dinamiche locali di distribuzione e promozione. A livello generale, ciò che preoccupa di più è la continuità del segno meno, osservata in 9 trimestri su 11 a partire dall’inizio del 2023. Un segnale, spiegano gli analisti, che potrebbe indicare una trasformazione culturale più profonda, difficile da invertire con semplici manovre di marketing.

I distributori americani, già colpiti dai cambiamenti post-pandemici, faticano a trovare un nuovo equilibrio. Le aziende vinicole europee – italiane in primis – si trovano ora a dover ripensare alcune strategie di prezzo, logistica e comunicazione. Il canale horeca, che avrebbe potuto compensare in parte la flessione retail, risulta ancora frenato da costi fissi elevati e una domanda instabile.

Cosa cambia per l’Italia e per l’export europeo

Per il settore vitivinicolo italiano, il mercato americano è storicamente uno snodo cruciale. Nel 2022 e 2023, secondo i dati ISTAT, gli USA hanno rappresentato oltre il 23% del valore totale dell’export vinicolo italiano. Le flessioni registrate oggi, anche se non drammatiche sul piano assoluto, potrebbero incidere su previsioni di crescita e piani di investimento già in corso. Le denominazioni più esportate – come Chianti, Barolo, Amarone, Prosecco DOC e DOCG – rischiano di essere penalizzate nel medio periodo se il trend non si arresta.

Alcuni consorzi di tutela hanno già cominciato a monitorare la situazione con maggiore attenzione. In Veneto e in Piemonte, alcune aziende hanno attivato campagne promozionali mirate per fidelizzare clienti e ristoratori statunitensi. Altre, soprattutto nel comparto bio, stanno tentando un riposizionamento verso nicchie più giovani e attente all’impronta ecologica del prodotto. I margini di manovra però restano limitati se la base dei consumatori continua a contrarsi.

La variabile demografica non è secondaria. I cosiddetti Gen Z e millennials americani mostrano gusti diversi rispetto alle generazioni precedenti. Consumano meno alcol, scelgono bottiglie per lo più su consiglio di creator social e sono più sensibili a etichette trasparenti, packaging ecologico, storytelling legato al territorio. Il vino italiano, spesso percepito come “classico”, rischia di rimanere ai margini se non riesce ad aggiornare linguaggio e canali.

I prossimi mesi saranno decisivi. Se il trend dovesse proseguire, i produttori italiani potrebbero dover ridisegnare le rotte dell’export, puntando con più forza su Canada, Giappone, Corea del Sud o mercati emergenti dell’Asia centrale. Ma per ora lo sguardo resta puntato su New York, Chicago e San Francisco, dove la battaglia si gioca ancora tutta, bicchiere dopo bicchiere.

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