L’argomento delle pensioni in Italia è tornato al centro del dibattito pubblico, soprattutto per quanto riguarda l’impatto del recente taglio della rivalutazione su quelle superiori ai 2.500 euro lordi. Questa decisione influisce su oltre 3,5 milioni di cittadini, corrispondenti a poco più di un quinto della popolazione pensionata nel Paese. I dati di Cida e Itinerari Previdenziali rivelano che coloro che percepiscono pensioni superiori a quattro volte il trattamento minimo, attualmente fissato a 616,67 euro, affrontano perdite annuali significative. Si stima che l’impatto possa arrivare a 13.000 euro in dieci anni per chi ha un assegno pensionistico sopra i 2.500 euro.
Questa svalutazione non colpisce solo i pensionati con redditi alti; riflette un sistema che penalizza ingiustamente chi ha contribuito maggiormente al sistema previdenziale. Secondo Stefano Cuzzilla, presidente di Cida, le pensioni medio-alte hanno perso oltre un quarto del loro potere d’acquisto negli ultimi trent’anni, minando il legame di responsabilità intergenerazionale. Le pensioni rappresentano un salario differito, frutto di anni di lavoro e contributi versati, e il loro indebolimento costante mette a rischio la fiducia nel sistema previdenziale.
Disparità nel sistema previdenziale
Un aspetto critico sollevato da Cuzzilla è che, nonostante i pensionati con redditi superiori a 35.000 euro l’anno rappresentino solo il 14% del totale, essi contribuiscono in modo sproporzionato al gettito fiscale, sostenendo il 46,33% dell’Irpef della categoria. Paradossalmente, queste persone sono tra le più colpite dai tagli e dalla mancanza di adeguamenti delle pensioni, mentre chi ha versato pochi o nessun contributo beneficia di una protezione totale contro l’inflazione. Questa disparità crea un evidente rovesciamento dei principi di equità e giustizia sociale.
Erosione del potere d’acquisto
Alberto Brambilla, presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, evidenzia come la rivalutazione delle pensioni sia stata applicata sull’intero importo e non per scaglioni, penalizzando indiscriminatamente i pensionati. Ad esempio, per il 2023:
- Chi percepiva una pensione tra i 2.627 e i 3.152 euro ha visto una rivalutazione complessiva del 4,3%, ben al di sotto dell’inflazione reale, che si attestava all’8,1%.
- Le mancate indicizzazioni dal 2012 al 2022 hanno portato a una perdita complessiva di circa il 21% nel potere d’acquisto per le pensioni oltre le dieci volte il minimo.
Questo significa che una pensione da 10.000 euro lordi ha perso quasi 178.000 euro, mentre quella da 5.500 euro lordi ha subito una diminuzione di circa 96.000 euro. Queste cifre evidenziano come i pensionati del “ceto” medio affrontino non solo la pressione fiscale, ma anche un’ingiustizia economica che compromette la loro qualità della vita.
Urgenza di riforme
In un contesto di crescente inflazione, che ha caratterizzato il biennio 2023-2024, la questione delle pensioni diventa sempre più urgente. L’analisi condotta da Cida e Itinerari Previdenziali dimostra che la situazione è destinata a peggiorare se non verranno adottate misure adeguate per tutelare i pensionati. Le ingiustizie del sistema previdenziale, unite a un’inadeguata protezione contro l’inflazione, stanno creando una frattura tra le generazioni e minacciando il patto intergenerazionale che dovrebbe garantire un futuro dignitoso a tutti i lavoratori.
È evidente che per affrontare questa problematica è necessaria una scelta politica chiara, che riconosca il valore di chi ha versato contributi e garantisca regole stabili e giuste. La questione non riguarda solo il presente, ma anche il futuro del sistema previdenziale italiano, che deve essere riformato per rispondere alle esigenze di una società in continua evoluzione. La pensione non deve essere vista come un privilegio, ma come un diritto acquisito grazie a una vita di lavoro e contributi versati. La sfida attuale è garantire che le future generazioni possano contare su un sistema che rispetti questi principi e che non penalizzi chi ha già dato tanto per il Paese.
