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Scopri le sorprendenti denominazioni toscane: anteprime a freddo da non perdere

La recente settimana delle Anteprime toscane ha portato con sé un mix di entusiasmo e frustrazione. Assaporare dagli 80 ai 100 vini al giorno in sei sedi diverse sparpagliate su quattro città non è un’impresa da poco. Per il degustatore, il compito è tanto gratificante quanto gravoso. Invidiamo coloro che riescono a pubblicare immediatamente le loro opinioni, creando liste di etichette imperdibili. Tuttavia, per chi scrive, distillare un senso e un profilo interpretativo da questo turbinio di assaggi richiede tempo e riflessione. Questa serie di articoli si propone di esplorare, passo dopo passo, le scoperte emerse da queste sessioni di degustazione.

Le denominazioni toscane emergenti

Iniziamo con una panoramica delle “altre” denominazioni toscane, recentemente unite in un tentativo di sfruttare la visibilità offerta dalla stampa internazionale di settore. Questi territori, pur avendo caratteristiche e specificità stilistiche diverse, meritano una conoscenza più approfondita. Tuttavia, la degustazione in anteprima si è rivelata una sfida, con bottiglie confinate in spazi ristretti, creando una confusione che ha reso difficile un assaggio rilassato. La mancanza di sommelier a disposizione ha ulteriormente complicato l’esperienza, rendendo difficile apprezzare appieno le qualità di ogni vino.

È un peccato che, nonostante i progressi fatti da queste denominazioni nel superare le rivalità locali, le condizioni per un approfondimento delle loro qualità rimangano insufficienti. La visibilità offerta dall’evento è certamente un passo avanti, ma l’ambientazione dell’Hotel Michelangelo non ha eguagliato il glamour del Grand Hotel Baglioni nel 2015 o della Fortezza da Basso dell’anno precedente. È interessante notare che alcune denominazioni, come quelle di Bolgheri e della Val di Cornia, abbiano già scelto di distaccarsi dal gruppo.

Assaggi e scoperte

Passando agli assaggi, l’esperienza per il degustatore è stata simile a quella di un bambino in un negozio di dolciumi: l’ardente desiderio di provare tutto, ma l’impossibilità di farlo. I due approcci disponibili erano l’analisi approfondita di alcune denominazioni o una visione d’insieme per cogliere le tendenze distintive. Ho optato per la seconda opzione, e i risultati sono stati interessanti.

  1. Morellino di Scansano: Qui abbiamo assaggiato l’annata 2014, una vendemmia giudicata difficile, persino peggiore della nota 2002. Tuttavia, i produttori che hanno saputo realizzare vini ben strutturati, con un’estrazione tannica misurata, meritano un riconoscimento. Il profilo gustativo di questi vini era sottile e aggraziato, con un corredo aromatico che ha sostituito la tipica immediatezza del Morellino con note erbacee più fragranze. Tra i migliori assaggi, i vini di Poggio Bestiale e San Felo si sono distinti. Tuttavia, la piccola annata si è fatta sentire, con una persistenza gustativa limitata. Le Riserve, più apprezzate all’estero che in Italia, hanno mostrato un certo rischio di sovramaturazione. Tra i pochi assaggi, il 2012 di Poggio Maestrino si è rivelato una gradevole eccezione, mentre il Calestaia 2005 di Roccapesta, pur mostrando discreta complessità, aveva superato il suo picco qualitativo.

  2. Pitigliano e Sovana: Queste due denominazioni, pur separate, condividono la produzione di bianchi e rossi. La loro potenzialità è evidente nei suoli vulcanici, ma gli assaggi si sono rivelati complessi. Come evidenziato dal presidente del Consorzio, Edoardo Ventimiglia, molte delle produzioni vengono vendute sfuse. Il Sovana Sangiovese Vignamurata 2014, ad esempio, presentava una dolcezza un po’ tecnica, mentre il Rosso Superiore 2014 Ombra Blu di Sassotondo si è dimostrato abbastanza sapido e scorrevole. Nei bianchi, l’Isolina si è distinto per il suo equilibrio, mentre l’Oroluna 2015 de La Roccaccia ha offerto un frutto maturo e agrumato. Un’ulteriore nota positiva è stata il Bianco di Pitigliano 2006 di Sassotondo, che ha mostrato una bella personalità aromatica e una complessità interessante.

  3. Colline Lucchesi (escludendo Montecarlo): Qui la combinazione di vitigni autoctoni e varietà francesi è meno accentuata. I vigneti, sparsi in posizioni diverse, contribuiscono a un panorama vitivinicolo coeso. Nonostante il successo commerciale dei vini bianchi, il territorio sta guadagnando notorietà per i suoi rossi, dove il Sangiovese trova spazio in assemblaggi ben equilibrati. Tuttavia, i vini biodinamici in gioventù hanno mostrato alcune incertezze olfattive. Un’eccezione è rappresentata dal Tenuta di Valgiano 2013, che ha impressionato per il suo volume e equilibrio. Altri assaggi, come il Picchio Rosso di Colle di Bordocheo e il Villa Sardini di Pieve Santo Stefano, hanno offerto esperienze piacevoli, mentre altri, come il Merlot Casa e Chiesa di Tenuta Lenzini, hanno mostrato un’eccessiva ricerca di succosità.

La varietà e la complessità delle denominazioni toscane sono evidenti, ma è chiaro che c’è ancora molto lavoro da fare per garantire che queste etichette emergano e vengano riconosciute nel panorama vitivinicolo internazionale.

Redazione Vinamundi

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