L’Orisi, un vitigno autoctono siciliano a lungo dimenticato, sta vivendo una nuova primavera grazie al recente riconoscimento ufficiale come varietà ammessa in etichetta. Questo importante traguardo è stato reso possibile dal nuovo disciplinare dell’IGT Terre Siciliane, pubblicato di recente in Gazzetta Ufficiale. Un passo significativo per l’enologia regionale, che celebra la dedizione e l’impegno dell’azienda Santa Tresa di Vittoria (RG), guidata da Stefano e Marina Girelli, che ha lavorato instancabilmente per recuperare e vinificare questo vitigno nell’ambito di un progetto sperimentale.
L’Orisi è un incrocio naturale tra due vitigni storici: il Sangiovese e il Montonico Bianco. Fino a qualche tempo fa, nonostante gli sforzi per la sua valorizzazione, questo vitigno non poteva essere indicato in etichetta, costringendo Santa Tresa a vendere il vino semplicemente con la lettera “O”. Oggi, grazie alla recente modifica del disciplinare, l’Orisi può finalmente riappropriarsi della sua identità storica e culturale, un cambiamento che ha un forte significato simbolico per la viticoltura siciliana e per il recupero della biodiversità.
Il progetto di recupero dell’Orisi ha avuto inizio nel 2003, quando la Regione Sicilia ha avviato un programma in collaborazione con il vivaio Federico Paulsen di Marsala. Santa Tresa ha avuto l’onore di essere la prima azienda a reimpiantare questo vitigno, contribuendo così alla sua rinascita. La dedizione di Stefano e Marina Girelli è stata fondamentale, non solo per l’aspetto agronomico, ma anche per il lavoro di micro-vinificazione che ha permesso di mettere in luce le potenzialità di questa varietà.
Nel vigneto sperimentale di Santa Tresa, che si estende su 5.600 metri quadrati e ospita 2.830 piante, sono conservati ben 18 vitigni e 31 fenotipi differenti. Questo spazio si configura come un autentico laboratorio a cielo aperto, dove si studiano resilienza, adattabilità e interazione ecologica dei vitigni autoctoni, tutti elementi fondamentali per una viticoltura sostenibile. Grazie a questo lavoro di ricerca, da 16 piante originarie si è arrivati a ben 1.523 ceppi di Orisi, allevati su terreni franco-sabbiosi ricchi di minerali e con un substrato di calcarenite compatta. Questo tipo di terreno, unito a pratiche agricole rispettose dell’ambiente, contribuisce a esaltare le peculiarità del vitigno.
La vinificazione del vino “O”, che ora può fregiarsi del nome Orisi, segue un protocollo produttivo rigoroso. Le fasi principali del processo sono:
Questo processo sottolinea l’importanza di rispettare l’identità del vitigno e del territorio siciliano.
Santa Tresa si estende su 50 ettari, di cui 39 coltivati a vite, rappresentando un modello virtuoso di viticoltura biologica in Sicilia. L’azienda ha fatto della sostenibilità e della biodiversità le sue bandiere, unendo tradizione e innovazione per dare valore a vitigni dimenticati. La filosofia aziendale si basa su un profondo rispetto per la natura, contribuendo così a scrivere un nuovo capitolo della vitivinicoltura siciliana, in cui la valorizzazione di varietà storiche come l’Orisi gioca un ruolo cruciale.
Il riconoscimento dell’Orisi non è solo una vittoria per Santa Tresa, ma per tutta la comunità vinicola siciliana, che vede nella valorizzazione dei vitigni autoctoni una strada per il futuro. Con un interesse crescente verso i vini naturali e sostenibili, l’Orisi si inserisce perfettamente in questa corrente, rappresentando una scelta autentica per i consumatori che cercano di scoprire e apprezzare le radici profonde del territorio siciliano. La rinascita di questo vitigno fa sperare in un futuro ricco di nuove scoperte e opportunità per il patrimonio enologico dell’isola.
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