La questione dei dazi sul vino imposti dagli Stati Uniti continua a scuotere il settore vinicolo europeo, in particolare quello italiano. Recentemente, la US Wine Trade Alliance (Uswta), l’associazione americana che rappresenta il commercio vinicolo, ha lanciato un allarme riguardo a un possibile aumento dei dazi sul vino dal 14% al 17%, escludendo gli spirits. Questa informazione è stata comunicata in una lettera inviata all’Unione Italiana Vini (UIV) venerdì scorso, in cui l’associazione americana chiede una mobilitazione della filiera vinicola italiana ed europea per esercitare pressione sui negoziatori europei.
Nella lettera, l’Uswta sottolinea che, per motivi politici e ideologici, gli Stati Uniti vedono con preoccupazione i deficit commerciali, e con il vino europeo il disavanzo è particolarmente significativo. I vini europei, ricchi di storia e cultura, sono descritti come frutti unici del terroir, non replicabili con prodotti americani. Questa consapevolezza, sostiene l’Uswta, sembra mancare all’attuale amministrazione statunitense, che appare concentrata su una visione limitata della competitività commerciale.
La risposta dell’Unione Italiana Vini, rappresentata dal presidente Lamberto Frescobaldi, è stata netta e preoccupata. Frescobaldi ha dichiarato che l’aumento dei dazi al 17% costituirebbe un grave ostacolo per l’intero settore, controcorrente rispetto allo spirito di cooperazione che ha caratterizzato le relazioni tra Italia e Stati Uniti. L’appello all’azione della Uswta è stato accolto con urgenza, invitando la Commissione Europea e il governo italiano a intervenire per mitigare le conseguenze di questa misura.
Le stime al riguardo sono allarmanti: la UIV prevede che l’aumento dei dazi potrebbe causare un danno economico compreso tra i 300 e i 330 milioni di euro nei prossimi 12 mesi. Questo impatto non colpirebbe solo i produttori italiani, che destinano il 24% del loro export di vino agli Stati Uniti, ma anche importatori, distributori, ristoranti e bar americani, con un danno totale per il mercato statunitense stimato in circa 1,9 miliardi di dollari. Frescobaldi ha avvertito che il danno potrebbe aumentare ulteriormente in relazione alla forza del dollaro, rendendo i vini italiani meno competitivi sul mercato americano.
L’Osservatorio UIV ha inoltre evidenziato che, se non si adotteranno misure per ridurre i ricavi lungo la filiera, il rischio è di tornare a livelli di esportazione simili a quelli del 2019 entro la fine del 2026. Una prospettiva che, per il sistema vinicolo italiano, sarebbe complessa da affrontare, considerando l’importanza storica e culturale del vino nel nostro Paese.
Attualmente, l’export di vino italiano verso gli Stati Uniti vale circa 2 miliardi di euro, rappresentando il 24% dell’export totale di vino italiano. Questo posiziona il vino italiano in una situazione più vulnerabile rispetto ai suoi concorrenti europei: la Francia, ad esempio, destina il 20% del suo export di vino agli Stati Uniti, mentre la Spagna solo l’11%. Nonostante ciò, il vino italiano rappresenta il 40% dell’export totale dell’Unione Europea verso gli Stati Uniti.
Un dato preoccupante è che, già ad aprile 2025, il primo mese di applicazione dei dazi, l’export di vino italiano verso gli Stati Uniti ha subito un arresto, con una diminuzione del 7,5% in volume e del 9,2% in valore. Questa situazione evidenzia come le tensioni commerciali stiano già avendo ripercussioni concrete sul mercato.
Se allarghiamo la nostra visione al contesto europeo, l’export di vino dell’UE verso gli Stati Uniti vale quasi 5 miliardi di euro all’anno, mentre le importazioni da oltreoceano si attestano a 318 milioni di euro. Le vendite di alcolici europei negli Stati Uniti, inclusi vino e liquori, generano un fatturato complessivo di 8 miliardi di euro, rispetto a un import di 1,3 miliardi di euro.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio UIV, il corretto rapporto qualità-prezzo è fondamentale per il successo del vino italiano negli Stati Uniti. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i vini “popolari” – quelli con un prezzo di produzione di circa 4 euro al litro e un prezzo al consumo di circa 13 dollari a bottiglia – costituiscono la maggior parte delle vendite, con 350 milioni di bottiglie, che rappresentano l’81% dei volumi e il 63% del valore. La fascia premium, che include vini fino a 30 dollari, rappresenta il 17% delle vendite in volume ma il 29% in valore, mentre i vini di lusso, oltre i 30 dollari, hanno una presenza molto marginale.
Inoltre, l’UIV stima che il 76% delle vendite di vino made in Italy si trovi in una condizione di forte esposizione al mercato statunitense, con un rischio significativo di impatto negativo. Le denominazioni più vulnerabili includono il Moscato d’Asti (60% di esposizione), il Pinot Grigio (48%), il Chianti Classico (46%) e diversi rossi toscani e piemontesi. A livello di volumi, il Pinot Grigio è il più esportato, seguito dal Prosecco, che ha ottenuto un grande successo anche oltre oceano.
L'approvazione del cruscotto informativo per la gestione dei contratti di appalto nella logistica, grazie a…
Il 2025 si preannuncia come un anno di celebrazioni straordinarie per l’Associazione Italiana Sommelier (Ais),…
Ci sono storie che meritano di essere raccontate oltre i confini nazionali. Storie di passione,…
Dal 18 al 20 luglio 2025, la bellissima Grottammare, nota come la Perla dell’Adriatico, sarà…
Il mio recente viaggio nella storica regione vinicola della Côte d’Or si è concluso con…
L'introduzione di dazi USA sul vino importato dall'Unione Europea ha suscitato preoccupazione tra gli operatori…