Il clima di ottimismo che caratterizzava il Vinitaly 2025 sembra aver lasciato spazio a preoccupazioni concrete riguardo ai dazi statunitensi sul vino italiano. L’Unione Italiana Vini (UIV) ha recentemente condotto un sondaggio tra le principali aziende del settore, rivelando un cambiamento significativo nell’umore delle imprese. La frase chiave che emerge da questa analisi è chiara: “Nessun brindisi al possibile accordo sui dazi al 10% per le imprese del vino italiano”.
Durante l’evento di Verona, il dibattito si è acceso con dichiarazioni forti e preoccupazioni circa l’imposizione di tariffe che avrebbero potuto raggiungere il 200%, come insinuato dall’ex presidente Donald Trump. Oggi, il 10% inizialmente visto come un compromesso accettabile, appare come una minaccia concreta. Le testimonianze raccolte da Vinonews24 indicano che le prospettive per il mercato del vino italiano sono diventate più complesse e preoccupanti. L’incertezza legata alle decisioni del governo statunitense e le priorità dei governi europei evidenziano le vulnerabilità di un settore già provato.
Le aziende italiane, che nel 2024 prevedono di esportare verso gli Stati Uniti circa 1,94 miliardi di euro, pari al 24% del loro fatturato totale, esprimono grande preoccupazione. Secondo l’Osservatorio UIV, l’impatto potenziale sul fatturato in territorio americano potrebbe variare tra il 10 e il 12%. Questo dato tiene conto anche delle fluttuazioni del cambio euro-dollaro. La ragione principale di tale preoccupazione è che il 90% delle aziende intervistate ritiene che i consumatori non possano assorbire l’aumento dei costi derivante dall’introduzione di un dazio al 10%.
L’analisi di UIV ha rivelato che:
Queste percentuali evidenziano come il settore vitivinicolo italiano, già in difficoltà, possa subire un ulteriore colpo. Lamberto Frescobaldi, presidente di UIV, ha sottolineato la particolare vulnerabilità del settore del vino a queste nuove barriere commerciali. Infatti, la quota di export verso gli Stati Uniti per il vino italiano si attesta al 24%, rispetto a una media del made in Italy che si aggira poco sopra il 10%.
Frescobaldi ha anche evidenziato che il vino è un bene di lusso, il che significa che i consumatori possono ridurre la loro spesa in tempi di incertezze economiche. “Ogni dollaro investito nel vino europeo genera 4,5 dollari per l’economia americana”, ha affermato, sottolineando l’importanza del vino italiano non solo per il mercato locale, ma anche per quello statunitense.
Le piccole imprese, in particolare, si trovano nella posizione più vulnerabile: molte di esse destinano fino al 50% del proprio fatturato agli Stati Uniti, e le denominazioni più rappresentative, come il Moscato d’Asti, il Pinot grigio, il Chianti, il Prosecco e il Lambrusco, potrebbero subire perdite significative. La situazione è ulteriormente complicata dalla crescente concorrenza di altri Paesi produttori di vino, che potrebbero approfittare della situazione per conquistare fette di mercato.
Interviste ai vertici dei Consorzi di tutela del vino italiano, raccolte durante il Vinitaly 2025, rivelano una forte preoccupazione per il futuro del settore. Le aspettative di crescita, che prima sembravano alla portata, sono ora in discussione. L’influenza dei dazi americani si fa sentire anche nei rapporti commerciali con altri Paesi, dove le politiche protezionistiche potrebbero generare ripercussioni a catena.
Il futuro del vino italiano nel mercato statunitense è ora più incerto che mai. Le aziende devono affrontare non solo il rischio di danni immediati, ma anche le conseguenze a lungo termine di una perdita di accesso a uno dei mercati più importanti per il vino italiano. Le strategie di marketing e le politiche di prezzo devono essere rivalutate, e i produttori devono essere pronti ad adattarsi a un contesto in continua evoluzione. La resilienza del settore vitivinicolo italiano sarà messa alla prova, e le scelte fatte ora potrebbero avere ripercussioni significative nei prossimi anni.
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