Francesco Colpizzi, membro della Federazione Nazionale vitivinicola di Confagricoltura e presidente per la Toscana, ha recentemente espresso le sue opinioni sui vini dealcolati, un tema di crescente interesse nel settore vitivinicolo. Secondo un’indagine condotta da Swg, il 36% degli italiani si mostra curioso nei confronti di queste bevande, un dato che evidenzia una tendenza in grado di trasformare il panorama vitivinicolo nel nostro Paese. Negli Stati Uniti, il mercato delle bevande low e no alcol ha già raggiunto un valore di 2 miliardi di dollari, suggerendo che anche i consumatori italiani potrebbero essere pronti a esplorare nuove opzioni.
Colpizzi sottolinea che i vini dealcolati non devono essere considerati un sostituto del vino tradizionale, poiché possiedono una loro identità e caratteristiche distintive. “Il dealcolato non è un vino, o perlomeno non come lo intendiamo tradizionalmente”, afferma, evidenziando che questi prodotti rappresentano un’innovazione complementare piuttosto che una minaccia al mercato del vino tradizionale. La sua visione è chiara: il vino dealcolato rappresenta un’opportunità, un passo laterale che può contribuire a diversificare l’offerta vitivinicola.
Colpizzi è ottimista riguardo alla possibilità di collocare il vino dealcolato all’interno del mercato. Egli afferma: “Questa offerta potrebbe avvicinare anche le nuove generazioni al mondo del vino, oltre a mercati in cui il consumo di vino è ancora limitato.” Il calo dei consumi di vino, noto dal 1970, non deve essere visto come un segnale negativo, ma come una chiamata all’innovazione. “Se il mercato cambia, dobbiamo essere in grado di offrire nuove opzioni, chiaramente delineate e con regole ben definite”, continua Colpizzi, sottolineando che il dealcolato non deve essere soggetto alla stessa legislazione dei vini di qualità.
Colpizzi ha avuto l’opportunità di assaporare alcune di queste bevande e non ha esitato a definirle “abbastanza modeste”. Tuttavia, esprime fiducia nel fatto che, con il tempo e l’innovazione, la qualità dei vini dealcolati possa migliorare. “Non è necessario che questi prodotti replicano le caratteristiche organolettiche dei vini alcolici”, afferma, suggerendo che un approccio più originale potrebbe risultare più interessante per i consumatori.
Il mercato domestico dimostra un certo interesse per il vino dealcolato. Negli Stati Uniti, questo prodotto ha già conquistato una fetta significativa di mercato, generando vendite per centinaia di migliaia di dollari. Questo dato dovrebbe far riflettere anche i produttori italiani, storicamente legati alla tradizione, ma che hanno sempre mostrato una propensione all’innovazione.
Tuttavia, le sfide non mancano. Colpizzi avverte che, dal punto di vista tecnologico, siamo ancora nelle fasi iniziali di sviluppo. La produzione di vino dealcolato richiede tecnologie che, attualmente, risultano onerose e poco accessibili per le aziende vitivinicole di medie e piccole dimensioni. “È inimmaginabile per una piccola fattoria iniziare a produrre vino dealcolato”, spiega, evidenziando come il rischio dell’investimento non giustifichi al momento i costi.
In conclusione, la posizione di Colpizzi è chiara: i vini dealcolati sono un’innovazione da considerare seriamente, non come un passo indietro, ma come un’evoluzione del settore vitivinicolo. Con l’impegno e la creatività giusta, il mondo del vino potrebbe abbracciare questa nuova tendenza, contribuendo a mantenere viva la tradizione vitivinicola italiana, pur adattandosi ai cambiamenti della società e delle preferenze dei consumatori. La sfida sarà quella di integrare questi nuovi prodotti nel mercato, comunicando con chiarezza le loro caratteristiche e il loro valore.
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