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Il sakè è sempre più vicino a diventare patrimonio dell’Unesco

In una Nazione in cui i locali ispirati alla cucina giapponese abbondano da nord a sud, con Milano che si conferma come centro della gastronomia nipponica in Italia, è curioso notare che la bevanda giapponese per eccellenza, il sakè, rimanga ancora, per molti, poco conosciuta. Tuttavia, negli ultimi tempi c’è stato un aumento dell’interesse verso il sakè, favorito da eventi dedicati a questa bevanda a base di riso e da momenti di approfondimento durante importanti manifestazioni gastronomiche, insieme agli sforzi di alcuni locali nel diffondere questa cultura. Ed è anche grazie a questi sforzi che il sakè sta per diventare patrimonio dell’Unesco. Ma vediamo tutto quello che c’è da sapere a proposito di questa fantastica bevanda.

Sakè, ecco tutto quello che c’è da sapere sulla bevanda prossima a diventare patrimonio dell’Unesco

Il termine sakè in Giappone indica genericamente una bevanda alcolica e può comprendere anche tutti gli alcolici e superalcolici occidentali. I giapponesi si riferiscono a questa bevanda come Nihonshu o Seishu, ma in qualsiasi izakaya del Giappone, ordinare semplicemente “sakè” non porterà a fraintendimenti.

Che cos’è il sakè?

Il sakè, ottenuto dalla fermentazione di cereali come la birra, presenta un tenore alcolico compreso tra i 12 e i 18 gradi, simile a quello del vino. A causa del suo grado alcolico, è spesso equiparato al vino di riso. Tuttavia, le somiglianze con vino e birra si limitano a questi aspetti, poiché è una bevanda unica nel suo genere. Il processo di produzione prevede una fermentazione alcolica del riso, consentendo ai produttori di sperimentare con ingredienti, tempi e temperature in varie fasi, ottenendo così risultati molto diversificati.

Sakè | Pixabay @kuppa_rock- Vinamundi

Per creare il sakè, sono necessari quattro ingredienti fondamentali: riso, acqua, fungo koji e lieviti. Inizialmente, il riso utilizzato per la produzione del sakè è di una varietà speciale chiamata sakamai, diversa dall’hanmai, il riso comune da tavola giapponese. Il sakamai ha chicchi più grandi e teneri, che assorbono meglio l’acqua.

L’acqua costituisce l’80% del sakè, quindi la sua qualità riveste un’importanza cruciale nel definirne il sapore finale. Fortunatamente, l’acqua giapponese è notoriamente dolce e priva di minerali, il che facilita la produzione di sake di qualità in tutte le regioni del paese.

Il fungo koji (Aspergillus oryzae) svolge un ruolo cruciale nel processo di produzione del sakè, poiché prepara il riso per la fermentazione trasformando l’amido in zuccheri semplici. Esistono tre varianti naturali del fungo koji: bianca, gialla e nera. Per la produzione del sakè, viene impiegata la variante gialla, poiché dona al sakè sapori fruttati senza alterarne il colore.

I lieviti sono essenziali per convertire gli zuccheri in alcol e sono cruciali in tutti i processi di fermentazione. Originariamente presenti nell’aria, in passato non venivano aggiunti manualmente al processo di produzione. Tuttavia, nel corso del tempo, come avvenuto per il vino, sono stati selezionati specifici ceppi di lievito per controllare la fermentazione e per conferire al sakè aromi e profumi distintivi. Uno dei lieviti più utilizzati è il Saccharomyces cerevisiae, noto per la sua capacità di fermentare a basse temperature e per i suoi pregiati aromi conferiti al sakè.

Modalità di produzione del sakè

Storicamente, il sakè viene prodotto durante l’inverno. In passato, ciò era motivato dall’inizio della raccolta del riso. Questo consentiva di valutare la disponibilità di riso senza compromettere le risorse alimentari. Inoltre, in inverno i contadini erano liberi dagli impegni nei campi, e le basse temperature favorivano il processo di produzione.

La creazione del sakè avviene attraverso diverse fasi. Inizialmente, il riso viene levigato per rimuovere la parte minerale e proteica concentrata nella sua superficie. Successivamente, il riso viene lavato e ammollo per assorbire l’acqua necessaria.

Come vedremo più avanti, il grado di levigatura (seimai buai) influisce sulla qualità del sakè. Questo viene indicato con un numero percentuale come 70%, 60%, 50%, che rappresenta la percentuale di chicco rimanente. Ad esempio, un seimai buai del 70% indica che il chicco è stato ridotto al 70% delle sue dimensioni originali, perdendo quindi il 30%.

Sakè | Pixabay @YasukoInoue – Vinamundi

Successivamente, il riso viene cotto a vapore, e una parte (circa il 20%) viene trattata con il koji. Quest’operazione avviene in locali appositi chiamati Koji Muro, dove il riso viene esposto alle spore di questo fungo. Le spore rilasciano un enzima chiamato glucoamilasi, che trasforma l’amido del riso in glucosio, in un processo chiamato saccarificazione.

Dopo circa due giorni, il riso dal Koji Muro viene combinato con il resto e messo in contenitori da 200-300 litri, dove viene mescolato con acqua e, a volte, con acido lattico a seconda della ricetta. Il prodotto viene quindi fatto fermentare per 30-35 giorni o più, a differenza del vino che fermenta per circa 8-15 giorni.

Questa fermentazione, chiamata fermentazione parallela, avviene in condizioni controllate dove il koji continua la saccarificazione del riso e i lieviti convertono gli zuccheri in alcol. Le temperature di fermentazione del sakè, intorno ai 10-15 gradi, differiscono da quelle del vino. Durante questa fase, può essere aggiunto dell’alcol per estrarre aromi dal riso e modificare il gusto del sakè.

Dopo la fermentazione, la massa viene compressa per separare la parte solida dal liquido. La parte solida, chiamata sakekasu, ha svariate applicazioni, come ad esempio nella preparazione degli tsukemono. Tuttavia, ciò che ci interessa maggiormente è naturalmente la parte liquida. Per ottenere un prodotto limpido, il sakè viene filtrato e, a discrezione del produttore, può essere miscelato (blend) in proporzioni diverse per bilanciare le differenze di sapore tra le varie botti. L’ultimo passaggio è la maturazione, che può durare da due settimane a un anno o più, specialmente per il sakè invecchiato.

Come si beve il sakè?

Non esistono rigide regole per gustare il sakè. Può essere consumato caldo, freddo o a temperatura ambiente.

La scelta della temperatura dipende dal tipo di sakè e dalla stagione. È importante considerare se il sakè è più fruttato, se siamo in estate o in inverno, cosa stiamo mangiando e, soprattutto, le nostre preferenze personali.

Durante l’inverno, è comune servire il sakè caldo per accompagnare piatti caldi come zuppe, gyoza o ramen bollente, mentre in estate è preferibile servirlo freddo o a temperatura ambiente, soprattutto con piatti “freddi” come sushi o chirashi.

Inoltre, per apprezzare al meglio i sakè aromatici, è consigliabile gustarli freddi, poiché il calore potrebbe compromettere i loro aromi.

A differenza del vino e della birra, il sakè ha sempre un sapore delicato e non sovrasta mai il gusto del cibo. È possibile abbinare il sakè a qualsiasi piatto, poiché riesce sempre a sostenere e valorizzare la pietanza.

Federico Liberi

Sono laureando in Psicologia dei processi sociali all’Università di Roma “La Sapienza”. La mia più grande passione insieme alla scrittura è il calcio, ma mi piace rimanere informato sullo sport a 360 gradi oltre che sull’attualità e la politica. Nel 2020 è stato pubblicato su Amazon un mio saggio sulla Programmazione Neuro-Linguistica.

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