Cucina

Drink analcolici: i migliori da assaggiare assolutamente

Il settore dei drink analcolici non accenna ad arrestarsi e sta diventando sempre più intrigante e variegato. Che si tratti di astemiex bevitorisober curious, soprattutto i giovani stanno seguendo questo trend.

Le occasioni di ritrovo sociale non devono essere per forza alcoliche e i virgin drinks sono una valida e più sana alternativa per non sentirsi esclusi.

Alcol e socialità sono sempre andate a braccetto, ma dal 2010 l’etanolo è stato inserito nella categoria delle sostanze cancerogene di tipo 1, al pari del fumo.

Ecco dunque che vi andiamo a illustrare i migliori drink analcolici che possano rispettare le caratteristiche che normalmente si ritrovano negli alcolici, quindi gusto prevalentemente amaro e acido, presenza di fermentazione e possibilmente le amate bollicine. 

I migliori drink analcolici da assaggiare

Iniziamo con la kombucha, il tè fermentato con coltura SCOBY (simbiosi di batteri e lieviti che si nutre di zucchero e caffeina).

La sua azione trasforma una semplice tè dolce in una bevanda probiotica e viva a tutti gli effetti, inoltre tende ad avere leggera effervescenza e sapore acidulo, caratteristiche che la rendono ideale come drink dissetante mixer per cocktail.

Foto | Unsplash @Tim-Oliver Metz – Vinamundi.it

È una bevanda che può essere fatta in casa, con le dovute accortezze, oppure affidarvi alle breweries artigianali disseminate lungo tutta Italia, come Legend Kombucha, che fra gli altri propone il gusto mojito, oppure Live Barrels che eccelle nel caffè verde e che si è inventata una kombukola contro il sistema. Infine Orti Geometrici, le cui botaniche (zafferano, elicriso, salvia) non sfigurerebbero in un mixology lab.

Di solito il kefir viene proposto come alternativa allo yogurt, ma qui proponiamo il kefir di acqua, realizzato con appositi granuli tibiscos. Anche in questo caso si tratta di lieviti e batteri che regalano una bevanda probiotica ed effervescente di media acidità.

Spesso però, a differenza della kombucha, il kefir risulta meno o quasi per nulla dolce, mentre rimangono spiccati gli aromi a base di frutta di stagione, erbe e spezie.

Ci si può sbizzarrire nel prepararlo a casa e non si gettano i granuli: curati con attenzione, si riattivano alla fermentazione successiva.

Altro drink analcolico è la Ginger Beer che forse la si conosce di più come componente essenziale del Moscow Mule, ma la ginger beer sa essere irresistibile e deliziosa anche senza l’aggiunta dell’alcol.

Originaria dei Caraibi, la ginger beer è una bevanda fermentata naturalmente a base di radice di zenzero. Lo starter è il Lactobacillus, batterio lattico che si trova principalmente nello yogurt e cetriolini.

Si può parlare anche della ginger ale, un soft drink non fermentato, con anidride carbonica aggiunta e percentuale più alta di zuccheri.

Il gin tonic senza gin si può fare, basta scegliere la tonica giusta. Da non tanto tempo, considerata il mixer per eccellenza, si tende a sottovalutarla.

Eppure già agli esordi la tonica aveva un ruolo molto importante, ovvero quello di bevanda medicinale anti-malaria, grazie all’aggiunta di chinino. Introdotta nelle colonie inglesi tropicali del Diciottesimo secolo, la tonica dissetava e curava allo stesso tempo.

Storicamente dunque è caratterizzata da intenso retrogusto amaro, e non sorprende che ai coloni dell’epoca venisse più facile mandarla giù con una bella dose di gin.

Le toniche odierne però si sono evolute, esprimendo un bouquet complesso che va dal citrino al floreale al balsamico. Ovviamente parliamo di quelle artigianali, le uniche che valga la pena degustare.

Da anni esistono validissime alternative anche dei distillati, i cosidetti non-alcoholic spirits: la prova del 9 è il bicchiere e a livello gustativo non è facile distinguerli tra i cocktail sobri e regolari.

Il processo produttivo varia da azienda a azienda. C’è chi distilla più volte per ridurre l’alcol, chi utilizza tecniche studiate ad hoc, chi salta la fermentazione così da eliminare l’etanolo alla radice.

In tutti i casi si cerca di estrarre il più possibile gli aromi così da conservarli intatti, tali e quali agli “originali”, meno l’alcol. Perché no, se poi la differenza non si sente?

Nitro Cold Brew, Shrub, Spritzer e lo sparkling tea

Il drink fresco e cremoso che non ti aspetti è il nitro cold brew: si tratta di un cold brew infuso con idrogeno, che rende la consistenza vellutata e il sapore più dolce senza aggiunta di zucchero. Questo perché l’azione dell’idrogeno è capace di ridurre l’amaro del caffè.
Foto | Unsplash @Dannie Sorum – Vinamundi.it
Mentre attualmente stanno facendo il botto anche le bevande a base di aceto, specialmente come integratori salutisti e probiotici.
Prima del trend però c’è la tradizione, in questo caso risalente al 1600-1700, che per prima ha sdoganato lo shrub. Questo in origine era uno sciroppo di frutta, zucchero e aceto fatto apposta per essere mischiato ad acqua e distillati.

Andando ancora più indietro arriviamo all’etimologia, dall’Arabia sharab ovvero “bere”. Dagli antichi cordiali medicinali al cocktail del momento è un attimo.

Oggi infatti shrub ha significato ambivalente di bitter e aperitivo fatto e finito. Il drink, diffuso soprattutto in Nord America, ha base di frutta, aceto, soda e/o tonica.

Lo possiamo dire: si può fare a meno dello spritz, ma rinunciare allo spritzer è molto più complicato. Con spritzer infatti si indica una vasta categoria di bevande, alcoliche e non alcoliche, a base di soda e/o acqua frizzante.

Diffusi soprattutto nell’est Europa (Ungheria, Germania, Croazia, Slovenia), normalmente gli spritzer contengono vino bianco o rosé, mentre l’alternativa analcolica prevede sciroppo o succo di frutta.

Fra gli spritzer “tipici” più conosciuti c’è l’Apfelschorle tedesco a base di succo di mela. Altri mix vincenti sono i citrini con succo di arancia/limone spremuto fresco oppure menta e zenzero, rinfrescante e pungente.

Sono state aggiunte le bollicine al tè freddo per creare il perfetto drink analcolico. Il tè frizzante (o sparkling tea) non va però confuso con la kombucha perché qui non c’è SCOBY e dunque è assente la caratteristica acidità che può far storcere il naso a qualcuno.

Il processo produttivo è simile al metodo Charmat di spumantizzazione, con fermentazione delle foglie di tè ed eventuale aggiunta di aromi naturali.

Non a caso le etichette di sparkling tea – concentrato soprattutto in Nord Europa – pubblicizzano le loro bottiglie come “Champagne” o “spumante” senza alcol.

Passiamo poi al vino dealcolato e no, non è un mostro sintetico da laboratorio perché il terroir, la vigna e l’uva sono sempre quelli.

La tecnologia avviene direttamente in cantina, dove per togliere l’alcol vengono utilizzate osmosi inversaevaporazione sottovuoto.

Il risultato, secondo Jacopo Cossater, spesso pecca di equilibrio, persistenza e armonia. Ma per ora è tutto sommato soddisfacente per i più che l’hanno provato.

Se non volete essere completamente astemi, una valida alternativa è la piquetteacquerello: un sottoprodotto del vino ricavato dalla fermentazione delle vinacce già torchiate leggero, frizzante e dal basso contenuto alcolico.

Infine, possiamo parlare dell’acqua di rose del mondo brassicolo, ovvero la birra analcolica, ma degustata in modo serio e attento rivela dignità granitica e attributi lodevoli.

Certo, in Italia non sono molte le realtà artigianali che la includono in produzione e affidarsi all’industria non è esattamente un’esperienza trascendentale.

Giulia De Sanctis

Laureata in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo, collaboro attivamente con riviste e testate web del settore culturale, enogastronomico, tempo libero e attualità.

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